Si è alzato ulteriormente a Hong Kong il livello della tensione dopo che ieri i manifestanti pro-democrazia hanno deciso di sfilare per le strade della città nonostante il divieto imposto dal governo. E' stata una giornata senza esclusione di colpi, perché il braccio di ferro tra il Fronte Civile per i diritti umani e le forze di polizia ha portato a scontri violenti, trasformando l'ex colonia britannica in un campo di battaglia. Qualcuno la ricorderà come la giornata dei tre colori, perché con il calare del buio Hong Kong si è illuminata di rosso, verde e blu: il rosso per le fiamme delle auto bruciate, il verde dei laser puntati per disorientare le cariche della polizia e il blu dei cannoni ad acqua utilizzati per disperdere la folla. Altro simbolo della giornata uno striscione sul quale si poteva leggere, «Dire che non possiamo protestare è come obbligarci a non respirare», e una bandiera avvistata tra la folla, un drappo come quello cinese ma le cui stelle formavano una svastica.
Per aggirare il divieto, la folla si è radunata con la scusa di una manifestazione religiosa, che non richiede le stesse autorizzazioni delle proteste che hanno bloccato Hong Kong. «Siamo qui per pregare per la giustizia - ha raccontato alla tv giapponese NHK una giovane attivista - a Hong Kong esiste la libertà di professione religiosa. Se la polizia attacca infrange un nostro diritto fondamentale». I dimostranti hanno iniziato a sfilare davanti ad alcuni monumenti religiosi nello storico distretto di Sheung Wan prima di puntare verso il quartiere governativo. La situazione sembrava sotto controllo, anche perché la grande marcia procedeva verso il cuore economico di Hong Kong. Approfittando però del tramonto (a questa latitudini è buio poco dopo le 18) migliaia di giovani in tenuta da disobbedienza, caschetti, occhialoni e maschere antigas, si sono diretti verso il palazzo del Consiglio legislativo, assaltando l'ingresso. Le forze dell'ordine hanno bloccato il servizio di trasporto pubblico e la metro intorno alla sede di rappresentanza della Cina e ai palazzi governativi, iniziando a usare lacrimogeni e cannoni con acqua colorata di blu per rispondere alle provocazioni degli attivisti che hanno lanciato pietre, bombe molotov e usato i puntatori laser. Alcuni «disobbedienti» hanno anche innalzato barricate dando fuoco alle auto parcheggiate per poi disperdersi. La polizia di Hong Kong ha ripreso con fatica il controllo dell'area intorno al parlamento e i manifestanti sono indietreggiati verso Wan Chai e Causeway Bay, alcuni di loro intonando l'inno nazionale degli Stati Uniti, sventolando bandiere a stelle e strisce, ed esortando il presidente Trump a intervenire per liberare la città dall'influenza cinese. Dettaglio che non è passato inosservato nella stanza dei bottoni di Pechino. Il ministro degli Esteri Qi Yu ha accusato gli States di aver «alimentato le proteste iniziate a giugno contro un democratico disegno di legge».
La manifestazione ha portato anche all'arresto di tre parlamentari. Le manette sono scattate ai polsi di Au Nok Hin, Andy Chan e Jeremy Tam di Passione Civica, accusati di ostruzione alle attività della polizia. Sono stati invece rilasciati Joshua Wong e Agnes Chow.
Su Wong si sta alimentando un piccolo giallo: secondo Demosisto, il movimento fondato dallo stesso Wong, il giovane non sarebbe mai stato fermato. «È una fake news fatta circolare dalla Cina per intimidire chi ha fame di democrazia».
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