Nella riunione del Consiglio dei ministri, fissata per martedì 14 luglio, sarà sciolto il nodo sulla revoca delle concessioni ad Autostrade. Ancora 72 ore di tempo per trovare una soluzione pacifica, che eviti lo scontro tra governo e famiglia Benetton. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte lascia socchiusa la porta: «Ho detto che nei prossimi giorni si completerà la procedura di revoca che è in corso, ormai è noto. A questo punto, o arriva in extremis una proposta a cui il governo non può dire di no, perché estremamente vantaggiosa per il pubblico, visto che non possiamo più regalare soldi a nessuno, men che meno ai privati, oppure si chiama procedimento di revoca, che significa che alla fine terminerà con una revoca» precisa da Venezia, a margine del test di sollevamento del Mose. E la proposta dei Benetton prevede la cessione del controllo di Aspi, il taglio dei pedaggi del 5% e l'impegno a investire almeno 3 miliardi di euro nella manutenzione della rete austradale.
Il dossier Autostrade tiene in panne la maggioranza giallorossa. E fa riemergere veleni e sospetti tra Pd, Cinque stelle e renziani. Il M5S teme che l'alleato Pd (con la complicità del premier) voglia boicottare la revoca. Conte, dal proprio canto, addossa le colpe dei ritardi ai ministri competenti Paola De Micheli (Infrastrutture) e Roberto Gualtieri (Economia). C'è addirittura chi ipotizza un piano tra Matteo Renzi e Luigi Di Maio per far fuori la De Micheli. Scenario che però non convince, in quanto tra il ministro degli Esteri e la ministra dem c'è grande stima.
Per i Cinque stelle la revoca resta uno scapo da esibire: «I Benetton devono uscire dalla gestione delle nostre autostrade. Noi non abbiamo dubbi, se qualcuno poi ha altre idee noi siamo disponibili anche a lasciar perdere tutto e andare via, gli lasciamo il paese» avverte il viceministro allo Sviluppo economico Stefano Buffagni. Nella maggioranza la posizione di Italia Viva, contraria alla revoca, rischia di essere isolata. Dal fronte Pd, dopo retroscena e ambiguità, Andrea Orlando, vice di Zingaretti, prova a fare chiarezza: «Al Pd interessa che chi ha nuociuto non nuoccia più, che ci siano garanzie sulle tariffe, gli investimenti, i controlli. Se questo si realizza con la revoca o con un radicale assetto societario tocca al governo dirlo sulla base delle analisi tecniche che a questo punto dovrebbero essere più che sufficienti. Il Pd non ha mai chiesto rinvii su questo argomento. I tempi li decide il governo e per noi di tempo ne è passato sin troppo». Intanto, il fronte pro-revoca mette a segno due punti: la sentenza della Corte Costituzionale (legittima fu la decisione di non affidare ad Autostrade la ricostruzione del ponte Morandi) e l'iscrizione (che risale a gennaio) dell'amministratore delegato di Autostrade Roberto Tomasi nel registro degli indagati nell'inchiesta aperta dalla Procura di Genova per attentato alla sicurezza dei trasporti e frode in pubbliche forniture sulle barriere antirumore, che sarebbero fuori norma. Una terza inchiesta, per interruzione di pubblico servizio e omissione di atti d'ufficio, dopo le code in Liguria, è appena partita.
Un triplo colpo che indebolisce la famiglia Benetton nella trattativa con il governo. Sul tavolo i Benetton, come alternativa alla revoca, sarebbero pronti a mettere la carta della rinuncia al controllo di Autostrade, cedendo la maggioranza delle azioni a partner pubblici.
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