«Il programma del centrodestra è più orientato alla crescita, perché una concreta riduzione della pressione fiscale lascerebbe maggiori margini di libertà alle famiglie e alle imprese». A dirlo è Nicola Rossi, economista dell'Istituto Bruno Leoni, che da anni avanza una proposta di riforma del sistema fiscale con l'introduzione di una tassa piatta al 25 per cento. Professore di Economia Politica all'università Tor Vergata di Roma, Rossi ha avuto anche una significativa carriera politica nel centrosinistra: è stato deputato e senatore del Partito democratico, forza politica che ha poi abbandonato nel 2011 per passare al gruppo misto.
Professore, lei ha detto varie volte che la flat tax è desiderabile per l'Italia, ci spiega perché?
«Il sistema fiscale italiano, nella sua configurazione attuale, non è più gestibile e ha bisogno di una revisione profonda che parta dall'Irpef e poi si estenda a tutto il sistema tributario. Solo così avremo più efficienza ed equità».
Nel Pd, tuttavia, si vuole preservare l'attuale sistema con pochi ritocchi...
«Credo non siano utili semplici aggiustamenti, come è stato fatto negli ultimi 20-30 anni. La politica dei ritocchi non ha fatto altro che rendere ancora più confuso il nostro sistema fiscale».
Tra le fila del suo ex partito, c'è chi accusa la flat tax di essere iniqua. Ma è veramente così?
«Nella lettura della sinistra, che io ritengo errata, si ritiene che la redistribuzione della ricchezza debba necessariamente e soprattutto passare per il sistema fiscale. Ma l'Italia è un ottimo esempio di come questo sia sistema abbia prodotto risultati scadenti. Al contrario, io penso che la vera redistribuzione non si faccia con le tasse, ma con la spesa. Ovvero attraverso servizi come l'istruzione e una buona assistenza sanitaria».
Il programma del Pd ha un netto sbilanciamento verso misure assistenzialiste, con molti bonus e senza ricette economiche realmente incisive. Perché la flat tax è migliore?
«Nel programma del centrosinistra, l'idea di fondo è che questo Paese da solo non ce la faccia e l'unica possibilità è che a tutti i livelli lo si aiuti. C'è effettivamente una questione sociale che va tenuta in conto, ma bisogna accorgersi che un Paese proiettato solo ad aiutare chi rimane indietro, senza creare risorse per farlo nel modo migliore, è destinato nel suo complesso a rimanere indietro».
Insomma, meglio il programma del centrodestra che è più concentrato sulla crescita?
«Il Paese deve tornare a crescere, se si vuole veramente aiutare chi è rimasto indietro. Anche nel programma del centrodestra vedo qualche venatura assistenziale di troppo, ma a differenza di quello del centrosinistra si trovano più misure espansive. La flat tax, in particolare, prefigura una minore pressione fiscale che garantirà più margini di libertà alle persone, affinché tutti possano contribuire alla crescita».
Quanto pensa possa incidere sulla crescita del Pil l'adozione della tassa piatta?
«L'effetto di una riforma significativa come la flat tax, dipende da come la si fa. È fondamentale che presenti coperture finanziarie da qui all'eternità. Perché le persone hanno bisogno di certezze e non devono poter pensare che il governo possa cambiare idea e tornare indietro dopodomani. Deve essere costruito un percorso chiaro e credibile, e finanziariamente sostenibile, il che certamente è più probabile con una aliquota al 23 che non al 15 per cento».
A sinistra però non amano la tassa piatta perché non è progressiva. Addirittura si dice sia incostituzionale...
«È un argomento che non sta né in cielo e né in terra, la progressività non si misura per numero di aliquote. Una flat tax con una no tax area è già progressiva. E poi, per inciso, la Costituzione prevede che la tassazione sia progressiva nel complesso, non che ogni singola imposta sia progressiva».
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