I giorni neri di Putin e la partita di Erdogan. Il Sultano vede Meloni ed è asse sui migranti

Zar tradito dall'alleato e in difficoltà con la Nato. La Turchia incassa F-16 e credito con Usa e Ue. "Ricatto" a Mosca su Bosforo e Dardanelli. Invito ad Ankara per la premier

I giorni neri di Putin e la partita di Erdogan. Il Sultano vede Meloni ed è asse sui migranti
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È una partita sporca ed avvelenata. E proprio per questo fatta su misura per un Sultano tentato dall'opportunità di pugnalare alle spalle uno Zar in difficoltà. Le prime avvisaglie si sono viste qualche giorno fa quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha consegnato a Volodymyr Zelensky i cinque comandanti del battaglione Azov liberati a suo tempo da Mosca a condizione che restassero in Turchia fino alla fine della guerra. Un piccolo, ma fastidioso sgarbo utile per far comprendere a Vladimir Putin che gli accordi stretti quando il presidente russo era una controparte temuta e minacciosa non valgono più. Per un signore del ricatto e dell'opportunismo come Erdogan annusare la debolezza di Putin e capire che lo scontro con Prigozhin e la Wagner lo priva di una forza essenziale è quasi istintivo. Anche perché la Wagner, ben prima di entrare in gioco sui fronti dell'Ucraina, era servita al Cremlino per contrastare e ridimensionare le aspirazioni di un Erdogan deciso a rinverdire i fasti ottomani e allargare la propria influenza ai territori libici e siriani.

Nella debolezza dello Zar il Sultano intravvede ora una triplice opportunità. La prima è ritrovarsi egemone su quelli scenari mediorientali dove Mosca era la sola a contrastare i suoi disegni. La seconda è resettare e ribaltare i rapporti con gli Usa guadagnandosi la riconoscenza dell'Amministrazione Biden. Un'Amministrazione che ha già premiato il sì di Ankara all'entrata della Svezia nell'Alleanza Atlantica con il via libera alle forniture di F16. Ma Erdogan è tentato dall'offrire ben di più mettendo sul tavolo alcune mosse indispensabili per fiaccare Mosca e costringerla ad un negoziato da posizioni di estrema debolezza. Nel risiko psico-strategico di Erdogan quelle mosse puntano a conseguire una terza opportunità ovvero sfruttare l'obbligata riconoscenza di Stati Uniti e Nato per farsi accogliere nell'Unione Europea. Non a caso durante il vertice Nato di Vilnius Erdogan ha colto l'occasione per incontrare la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e invitarla ad Ankara. Un invito a cui la Meloni ha risposto ribadendo la necessità di affrontare i temi del Mediterraneo e contrastare quell'immigrazione clandestina che in questi ultimi dieci anni è spesso partita dalle coste turche. Ma il bilaterale è servito anche per discutere investimenti nei settori dell'industria e della difesa capaci di garantire un interscambio da 30 miliardi di euro.

In tutto questo un Cremlino orfano di Prigozhin e della Wagner rischia veramente di ritrovarsi alla mercé di Ankara. Il potere negoziale di Erdogan spazia infatti dai settori economici e finanziari a quelli geo-politici e militari. Sul piano economico e finanziario la Turchia rappresenta ad oggi la piattaforma essenziale per dribblare le sanzioni, garantire le triangolazioni e permettere a Mosca di piazzare sui mercati internazionali prodotti energetici, materie prime e derrate alimentari. Limitando le triangolazioni, aderendo alle sanzioni e rifiutandosi di mediare un nuovo accordo sul grano capace di garantire - oltre alle esportazioni ucraine - anche quelle russe, Erdogan infliggerebbe a Vladimir Putin uno sgambetto non da poco. Ma la vera spada di Damocle è la Convenzione di Montreaux, l'accordo del 1936 che garantisce alla Turchia il controllo degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli. Negando alle navi di Mosca il diritto di passaggio Ankara bloccherebbe il grano russo, imbottiglierebbe la flotta all'ancora nella base portuale di Sebastopoli e metterebbe il Cremlino nella condizione di non reagire per timore di uno scontro con la Nato. Ma il tradimento peggiore Putin lo rischia sul piano negoziale. Dal punto di vista del Cremlino Erdogan rappresentava il solo mediatore accettabile per una trattativa con Zelensky giocata su un piano di parità.

Ora però l'arbitro è pronto a cambiare le regole del gioco. Così se l'offensiva ucraina, garantita dalle armi e dalla guida strategica della Nato, riuscirà a raggiungere la Crimea Putin potrebbe vedersela con un Erdogan pronto a dettargli le condizioni scritte da Washington.

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