La riforma degli ammortizzatori sociali e il Pnrr pongono due importanti sfide al ministro del Lavoro, Andrea Orlando. La prima è rivitalizzare un sistema di collocamento pubblico che finora non ha funzionato e che fondamentalmente si basa su un sistema di «assistenza di cittadinanza» (il copyright è del presidente di Confindustria Puglia, Sergio Fontana) rappresentato dal reddito grillino. La seconda è facilitare il passaggio dal mondo dell'istruzione secondaria e universitaria a quello del lavoro.
A questo proposito ieri l'Ufficio studi della Cgia di Mestre ha ricordato che, sulla base dei dati Istat, nel 2020 sono stati 543mila i giovani che hanno abbandonato la scuola prematuramente, dopo aver conseguito solo la licenza media. L'Italia si è collocata al terzo posto tra i 19 paesi dell'area euro per abbandono scolastico tra i giovani in età compresa tra 18 e 24 anni con una percentuale del 13,1 per cento. Solo Malta (16,7%) e Spagna (16%) hanno fatto peggio, mentre la media dell'area euro si è attestata al 10,2 per cento. La situazione del Mezzogiorno è drammatica: le prime quattro Regioni per dispersione sono state Sicilia (19,4%), Campania (17,3%), Calabria (16,6%) e Puglia (15,6%). Senza contare che, ha ricordato la Banca d'Italia, oltre 3 milioni di giovani italiani tra 15 e 34 anni non sono occupati, non vanno a scuola e non si formano.
«Una piaga sociale che non può essere associata al Covid: da molti decenni, infatti, siamo tra i Paesi europei con il più alto tasso di abbandono», commenta l'Ufficio studi della Cgia aggiungendo che «questo problema, assieme alla denatalità, sta contribuendo a mettere in difficoltà tantissime aziende». Secondo gli ultimi dati presentati da Unioncamere, del milione e 280mila nuove assunzioni previste dalle imprese italiane tra luglio e settembre di quest'anno, quasi il 31% (circa 400mila posti) sarà di difficile reperimento per carenza di adeguate competenze. In base ai dati Eurostat del 2019, solo il 39% dei giovani italiani nella fascia 16-24 anni ha competenze digitali superiori a quelle di base, contro il 60% della media Ue. Nella fascia 25-34anni la quota scende al 36% (50% la media Ue).
Si tratta di due temi che incrociano, come detto, sia la riforma degli ammortizzatori che il Pnrr. La prima, infatti, prevede la «Gol», la Garanzia di occupabilità dei lavoratori, ossia un percorso di formazione atto al reimpiego a cura sia dello stato che delle aziende che accedono alla cigs. Poiché le politiche attive sono a cura delle Regioni, appare improbabile che questo iter possa essere gestito dai Centri per l'impiego, ancorché siano previste 11mila assunzioni (ai concorsi potranno partecipare anche i navigator in scadenza a fine anno). In queste istituzioni, infatti, si assumono soprattutto laureati in giurisprudenza competenti in diritto amministrativo, ma digiuni di ricollocamento o, come si dice nel gergo tecnico, di reskilling (rimodulazione di competenze) e di upskilling (ampliamento delle competenze già acquisite). Senza contare che la direzione delle politiche attive è stata portata centralmente al ministero del Lavoro e non più affidata all'Anpal, recentemente commissariata dopo la defenestrazione di Mimmo Parisi.
Il tasso di disoccupazione giovanile al 31,7%, inoltre, induce a interrogarsi su come si possano impiegare al meglio i circa 9 miliardi messi a disposizione dal Recovery Plan per questo capitolo giacché il Paese parte da una condizione di notevole svantaggio.
Orlando, entro la fine del mese, dovrà trovare una sintesi molto difficile: accontentare sindacati e sinistra che spingono per ammortizzatori lunghi per attutire l'impatto dei licenziamenti, fermare le delocalizzazione e ravvivare le politiche attive riuscendo nel miracolo di recuperare quella quota di reddito di cittadinanza che vi è dedicata e su cui ancora ieri Giuseppe Conte ha posto un veto.
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