La produzione italiana è in picchiata ed è destinata a peggiorare ulteriormente. L'Istat stima che nel mese di marzo l'indice destagionalizzato della produzione industriale sia diminuito del 28,4% rispetto a febbraio e del 29,3% su base annua. Si tratta della maggior flessione di sempre, perlomeno dall'inizio delle serie storiche dell'Istat (1990), superiore ai valori registrati nel corso della crisi del 2008. La produzione del settore auto ha segnato un crollo tendenziale del 62,6% (-24,4% il confronto tra il primo trimestre 2020 e quello dell'anno scorso) rispetto ai primi tre mesi del 2019). Male anche il tessile (-51,2%), la fabbricazione di macchinari (-40,1%) e la metallurgia (-37,0%), mentre il calo minore è stato registrato dalle industrie alimentari (-6,5%).
Secondo Prometeia, la produzione industriale potrebbe subire un tracollo del 45,9% ad aprile, mese durante il quale il lockdown ha fatto sentire per intero il proprio peso sull'industria tricolore. L'impatto sul Pil della sola caduta della manifattura sarà nell'ordine del 5%, cui andranno sommate le contrazioni di altri settori come quello delle costruzioni e, in particolare, dei servizi. Calcolando che la stima per il primo trimestre è -4,7% e sapendo che la produzione industriale pesa circa un quinto, il Pil risulterebbe già in calo del 5,5%. Ma a questo dato, si aggiungerà il fatturato dei servizi, che pesano molto di più sul Pil e «saranno anch'essi peggiori di quanto avevano imputato per calcolare la variazione trimestrale», ha sottolineato Luca Paolazzi, economista di Ref Ricerche.
Scenario altrettanto drammatico è quello tratteggiato dal Centro studi di Confcommercio secondo cui «sono quasi 270 mila le imprese del commercio e dei servizi che rischiano la chiusura definitiva se le condizioni economiche non dovessero migliorare rapidamente, con una riapertura piena ad ottobre. Il dato, sottolinea la confederazione guidata da Carlo Sangalli, potrebbe essere peggiore perché, oltre agli effetti economici derivanti dalla sospensione delle attività, va considerato anche il rischio, molto probabile, dell'azzeramento dei ricavi a causa della mancanza di domanda e dell'elevata incidenza dei costi fissi sui costi di esercizio totali che, per alcune imprese, arriva a sfiorare il 54%. «Su un totale di oltre 2,7 milioni di imprese del commercio al dettaglio non alimentare, dell'ingrosso e dei servizi - prosegue Confcommercio - quasi il 10% è, dunque, soggetto ad una potenziale chiusura definitiva. I settori più colpiti sarebbero gli ambulanti, i negozi di abbigliamento, gli alberghi, i bar e i ristoranti e le imprese legate alle attività di intrattenimento e alla cura della persona. Mentre, in assoluto, le perdite più consistenti si registrerebbero tra le professioni (-49mila attività) e la ristorazione (-45mila imprese)».
Ecco perché la Banca d'Italia ha lanciato un appello al sistema italiano del credito.
«Riavviare l'economia è fondamentale, sulla ripresa dobbiamo mettere ogni risorsa ed energia pubblica e privata» ha dichiarato il direttore generale di Palazzo Koch, Daniele Franco, aggiungendo che «nell'immediato è necessario uno sforzo eccezionale per sostenere la liquidità delle imprese colpite dalla crisi e quindi usare l'ingente liquidità messa a disposizione dall'Eurosistema a tassi irripetibili». In particolare attraverso misure di sostegno «a fondo perduto e per rafforzare il capitale».
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