Infiltrazioni mafiose, entro due mesi il prefetto si pronuncerà

Dalla padella alla brace. Oltre il danno la beffa. C'è un retroscena curioso nelle carte del secondo atto dell'inchiesta Mafia Capitale, che racconta perché Luca Odevaine & C. sono entrati nel grande business della gestione del Cara di Mineo. Un retroscena strano e che ha il sapore della beffa. Già, perché stando al racconto di Odevaine, fu Franco Gabrielli, all'epoca al vertice della Protezione civile, a contattarlo chiedendogli di valutare il caso Mineo perché la Croce rossa, che gestiva il Cara, costava troppo. Lo stesso Franco Gabrielli che adesso, da prefetto di Roma, deve esaminare l'intera indagine e decidere l'eventuale scioglimento per mafia di Roma Capitale. Una beffa, appunto. Gabrielli, già sotto attacco per la tempistica, non le manda a dire: «Non sto temporeggiando – dichiara – come ho sentito dire da qualche organo di stampa. Il 15 giugno la Commissione mi consegnerà la relazione, e da allora avrò 45 giorni per leggere, studiare, valutare, consultare il Comitato per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica».

Ma nel mare magnum dell'inchiesta eccola questa intercettazione ambientale del 21 marzo 2014 in cui Odevaine racconta come è entrato nell' affaire Mineo. L'ex braccio destro di Veltroni parla col suo commercialista Stefano Bravo. E ricostruisce i suoi rapporti con «La Cascina», la coop vicina a Cl ora nell'occhio del ciclone. Ricorda di essere entrato in contatto con la coop in occasione della prima gara per Mineo. Spiega che all'epoca la gestione dell'emergenza migranti era affidata alla Protezione civile guidata da Gabrielli affiancata da un tavolo di cui lui stesso, come rappresentante Upi, faceva parte. Quindi fa un passo indietro, alla nascita del Cara: «Requisirono questo centro di Mineo che era vuoto perché c'erano i miliari americani... E requisirono questo coso dandogli un sacco di soldi». Sei milioni l'anno, calcola, solo d'affitto: «Poi l'hanno affidato alla Croce rossa direttamente, senza gara e senza niente... La moglie de Letta è la presidente della Croce rossa Lombardia (presumibilmente – annota il gip - Odevaine fa riferimento a Maria Teresa Letta, sorella di Gianni Letta, presidente della Croce rossa italiana)». Una supposizione già smentita da Letta: «Non conosco Odevaine e il suo commercialista, non mi sono mai interessato del centro di Mineo, una vicenda che non è stata mai seguita da me ma da altri». Ed ecco Gabrielli, il cuore del racconto: «Prendiamo sta cosa in mano e Gabrielli me dice: “Senti, Luca, prendite un attimo 'ste carte, guarda un attimo perché secondo me 'sta cosa costa uno sproposito”. Per cui io mi presi le carte... Vidi questa roba, non aveva senso... Intanto la gestione della Croce rossa costava il doppio di qualunque altro centro in Italia... In quel momento si stavano pagando 45 euro, facendo i calcoli la Croce rossa ne costava 90, senza servizi poi, ti davano solo da mangiare e da dormire e l'assistenza medica, non c'era mediazione culturale, più sta requisizione... Lui (Gabrielli, ndr ) mi disse “vedi un po' fatti i conti, perché in caso lo chiudiamo”... Al che io feci i conti dico: “Guarda, Franco, così è una follia, per cui o se chiude o se no se fa una gara, perché almeno i servizi riportiamoli a... No?... Ai canoni previsti per tutti gli altri centri”. “No no, vediamo”... Dico: “Guarda secondo me non te lo fanno chiude, tu vai, vacci a parlare e poi vediamo”... Va a parlare con Letta, torna e dice: “Facciamo la gara” e mi fa: “Ma te te la senti de fa la gara?”... “E me la sento Franco... Eh, ci provo, lo faccio, che ne so... Vado giù e vedo“».

Va giù Odevaine, in Sicilia. Incontra Castiglione, presidente della Provincia di Catania e dell'Upi «praticamente sub-commissario di Gabrielli», spiega ancora Odevaine.

È la famosa storia, uscita già nei mesi scorsi, del pranzo con la sedia vuota, e dell'opera di convincimento fatta su Castiglione per introdurre «La Cascina» al posto della Croce Rossa. La prima gara truccata, sospettano i pm. L'inchiesta di oggi.

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