Israele avverte il governo: dalla Libia può arrivare la vostra fine

Netanyahu oggi incontra Renzi a Firenze. In agenda le preoccupazioni sull'avanzata del Califfato, che a due passi dalle nostre coste è sostenuto dagli uomini di Teheran

Israele avverte il governo: dalla Libia può arrivare la vostra fine

Racconterà probabilmente di suo padre Benzion e di quando, ancora bambino, gli vide piantare alcuni alberi nel giardino di casa, a Gerusalemme. L'uomo li annaffiò, li concimò con cura. Poi, giorno dopo giorno, mese dopo mese, si mise a strappare le erbacce che crescevano intorno agli esili tronchi. «Papà, ma perché continui a strapparle?» domandò stupito il piccolo Benjamin Netanyahu: «Tanto quelle continuano a spuntare...». Suo padre rispose: «È vero, non posso fermarle. Ma se non continuo a strapparle, le erbacce soffocheranno le nostre povere piante. E noi non possiamo né vogliamo permetterglielo, vero?». L'aneddoto è molto caro a «Bibi» Netanyahu, dal marzo 2009 primo ministro d'Israele: quasi quanto gli è caro il ricordo del genitore, uno storico di fama internazionale nato in Polonia e morto nel 2012 a Gerusalemme. Quando stasera a Firenze vedrà Matteo Renzi (l'incontro è previsto dopo la fine del sabbath verso le 21), il leader israeliano quasi sicuramente glielo vorrà raccontare: e non per passione botanica, ma perché la metafora descrive alla perfezione i suoi sentimenti contro l'islam radicale e la minaccia che rappresenta per tutto l'Occidente.

A Firenze, è ovvio, i due presidenti discuteranno di molte cose. Netanyahu è arrivato in Italia giovedì scorso ed è stato a Milano, dove ha visitato l'Expo tra misure di sicurezza straordinarie: ma nel suo viaggio il premier è stato preceduto da un intenso lavorio politico e diplomatico. In base a quel che è stato possibile cogliere da più fonti riservate, all'incontro fiorentino il capo di governo israeliano (oltre alla sua fama da «duro») porta con sé un elenco di temi gravosi, che lo preoccupano molto. E su quelli cercherà la solidarietà di Renzi, un politico che stima e di cui ha apprezzato il discorso fatto davanti alla Knesset, il Parlamento israeliano, lo scorso 22 luglio.

Il primo tema sul tavolo del faccia-a-faccia è l'Iran. Dopo l'accordo di Vienna, che lo scorso 14 luglio ha posto fine al lungo embargo internazionale e alle sanzioni che contrastavano Teheran nella corsa al suo programma nucleare, Netanyahu vede quel progetto come la prima e peggiore minaccia bellica: e non soltanto per Israele, ma per tutto l'Occidente. Se l'Iran prima o poi avrà non solo l'energia nucleare ma anche la sua bomba atomica, come sono certi a Gerusalemme, la minaccia diventerà insostenibile anche per l'Europa e per gli Stati Uniti. Netanyahu l'ha detto più di una volta: l'Occidente con Teheran si sta comportando in modo insensato, proprio come un uomo che nutre una tigre, sperando di placarne la fame. La visione del primo ministro, che oggi ha 65 anni e fu soldato dal 1967 al 1972 agli ordini del mitico generale Moshe Dayan, è più che pessimistica. Netanyahu è convinto che i missili balistici intercontinentali di un Iran trasformato in potenza nucleare verranno messi al servizio di un regime convinto di avere il diritto divino di governare il mondo. Tanto più che a Gerusalemme oggi sono convinti di avere segnali precisi che uomini di Teheran siano già in Libia, accanto all'Isis.

Il secondo tema di cui Netanyahu parlerà con Renzi è proprio questo: l'Isis, il Califfato, lo Stato islamico. Israele è molto allarmato dalla sua crescita. Ma è spaventato soprattutto dalla quiescenza occidentale, dalla sua inattività. Perché è convinto che soltanto una risposta militare, sul campo, possa essere quella adeguata. Netanyahu pare certo, infatti, che oggi sia possibile battere militarmente l'Isis. Ma è anche preoccupato perché i servizi israeliani da qualche tempo segnalano infiltrazioni del Califfato perfino in Giordania. Non è improbabile che anche su questo punto il primo ministro israeliano chieda solidarietà al suo interlocutore fiorentino. Netanyahu, che da anni guarda all'islam radicale con la ferma convinzione che prima o poi uno scontro violento tra le due culture sarà inevitabile, e sarà fonte di guerre e tragedie, teme anche che l'immensa ondata migratoria dall'Africa all'Europa, che oggi in gran parte transita per una Libia senza governo e senza legge, sia il primo passo di un'invasione molto, molto poco pacifica. E a Renzi probabilmente chiederà che cosa sia possibile aspettarsi da Bruxelles, da lui vorrà sapere come l'Unione europea potrebbe affrontare la questione.

Infine, la questione palestinese. Le trattative con Abu Mazen, dal 2005 presidente della Palestina, sono a un punto morto. Ai suoi Netanyahu ripete spesso che la grande ritirata da Gaza è stata un fallimento. A Gaza, il governo di Gerusalemme aveva deciso di rispettare gli accordi, strappando alle loro case e alle loro terre circa 10mila coloni israeliani e portando via uomini e donne, vecchi e bambini, perfino le tombe. Il risultato? Dopo qualche ora, i moderati palestinesi avevano ceduto il terreno e il controllo ai radicali di Hamas.

La soluzione? Andare oltre. Oggi Israele chiede nuove garanzie: non soltanto il riconoscimento reciproco dei due Stati, sul quale peraltro continua a percepire l'ambiguità da parte palestinese. Ma anche la creazione di una zona smilitarizzata, un ampio «cuscinetto» di sicurezza. Ma Abu Mazen e i suoi non sembrano gradire affatto l'ipotesi.

Anche su questo punto non è improbabile che Netanyahu cerchi la solidarietà dell'Italia. Dove la causa dell'Olp è sempre stata molto ascoltata. Fin troppo.

Maurizio Tortorella
Vicedirettore di Panorama

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