Moussa, salute mentale integra. "Il coltello? Tenuto come ricordo"

Il killer di Sharon: "Volevo fare del male, dopo ho sentito un comfort". Il gip: "Lucidità e premeditazione, scelto il bersaglio più vulnerabile"

Moussa, salute mentale integra. "Il coltello? Tenuto come ricordo"
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Era lucido Moussa Sangare quella notte, quando ha ucciso Sharon Verzeni. Nessuna instabilità mentale, nessun problema psichiatrico. A metterlo nero su bianco è il gip di Bergamo Raffaella Mascarino, dopo aver sentito ancora una volta l'ex rapper che ha confessato l'omicidio della barista 33enne. «La lucidità mostrata nell'adottare tutta una serie di accorgimenti sia nei momenti precedenti al delitto (...) e anche gli accorgimenti dei giorni seguenti si legge nel provvedimento di convalida del fermo - evidenziano uno stato mentale pienamente integro». Pienamente integro. Due parole nette, come a voler dissipare ogni possibile spazio di manovra della difesa.

IL NODO PSICHIATRICO

D'altronde lo stesso legale di Sangare, Giacomo Maj, aveva accennato alla perizia psichiatrica all'indomani dell'arresto dell'assassino 31enne. E ha ribadito: «Valuteremo una perizia psichiatrica più avanti, le indagini sono ancora in corso. Non sono un medico, ma credo abbia dei problemi». Non sembrano essere dello stesso avviso gli inquirenti. Per il giudice l'uomo intriso dei valori violenti della trap - ha scelto «il bersaglio più vulnerabile, in maniera gratuita se non addirittura capricciosa», anche perché «in preda alla noia». Sangare è stato visitato nella psichiatria dell'ospedale del carcere subito dopo il suo ingresso e non sono state rilevate tracce di patologie, né remote né recenti.

L'INTERROGATORIO

Due ore. Tanto è durato l'interrogatorio di ieri, durante il quale Sangare ripete il suo macabro racconto, dai giorni precedenti l'assassinio fino a quella tra il 29 e il 30 luglio. Racconta che nei giorni precedenti si era esercitato con i coltelli anche sulla statua della preghiera proprio a Terno d'Isola e anche con il cartonato appositamente messo nella casa fatiscente che occupava. «Non c'era un movente, non so perché l'ho fatto», ribadisce. Spiega ancora una volta di essere uscito di casa con quel «feeling», quella «sensazione che non so spiegare» che lo ha spinto «a voler fare del male» e anche «dopo l'omicidio ho sentito un comfort». Secondo il legale Maj, però, «non era uscito di casa con l'obiettivo di uccidere qualcuno». Difficile individuare i confini tra il vero e il falso, anche perché Sangare ha continuato a interrompersi, chiedendo di ripetere la domanda, rispondendo in maniera spesso sconnessa. Tutto è sembrato molto confuso. Quello che è risultato chiaro è che il 31enne fa uso di droghe ma che quella sera secondo le sue parole - non era sotto l'effetto di sostanze stupefacenti: di casa è uscito con un solo coltello e sulla sua strada ha confermato di aver incontrato i due ragazzini già indicati nel primo racconto, altre persone e poi Sharon. La vittima prescelta.

L'ARMA SOUVENIR

Nell'operazione di decifratura degli inquirenti durante l'interrogatorio sono emerse ancora una volta le scuse per l'efferato delitto commesso, ma allo stesso tempo una tanto lucida quanto raccapricciante consapevolezza: quella di occultare le prove ma di mantenere la memoria dell'omicidio. «Ho voluto tenere il coltello come ricordo ha rivelato Moussa Sangare - Non l'ho buttato nel fiume perché ho pensato che avrei potuto trovarlo ancora lì. Volevo tenerlo per avere memoria di quello che avevo fatto». A differenza degli altri oggetti gettati assieme agli indumenti nell'Adda, la lama usata per trafiggere quattro volte Sharon è stata infatti sotterrata nei pressi dell'argine. E quando il giudice gli ha chiesto se la volesse tenere come un souvenir, lui ha risposto: «sì». Allo stesso tempo, però, sostituisce il manubrio della bicicletta guidata quella notte per renderla irriconoscibile. Nel frattempo, l'avvocato Maj fa il suo lavoro: «È stato collaborativo e ha spiegato agli inquirenti dove trovare quel coltello», mentre aggiunge: «Non ha mai pensato di fuggire».

IL SOPRALLUOGO E IL TRASFERIMENTO

Ma ieri è stata anche la giornata del nuovo sopralluogo dei Ris nell'appartamento in cui viveva il killer della Bergamasca.

A Suisio i carabinieri, insieme al Reparto Analisi Criminologiche (Rac) del Racis di Roma, al Reparto Crimini Violenti del Ros e al Nucleo Investigativo Carabinieri di Bergamo, per cinque ore hanno isolato alcuni vestiti e monili, reperti giudicati d'interesse investigativo che saranno successivamente esaminati presso i laboratori del Ris di Parma. A pochi chilometri di distanza, nelle stesse ore Sangare è stato trasferito dal carcere di Bergamo ad un'altra struttura: il 31enne è stato aggredito da altri detenuti con alcune bombolette incendiarie.

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