Jobs Act, il governo incassa la fiducia al Senato

Il governo: "La votazione riguarda anche l'articolo 18". La minoranza Pd presenta un documento contro il Jobs Act. Lancio di libri contro Grasso, i grillini: "Non siamo stati noi"

Jobs Act, il governo incassa la fiducia al Senato

Dopo una giornata di fischi, proteste, lancio di libri e sedute sospese, il governo ha incassato il voto di fiducia in Senato sul Jobs Act con 165 voti favorevoli, 111 contrari e due astenuti.

Il governo di Matteo Renzi, che ieri ha incontrato i sindacati a Palazzo Chigi, tira dritto sulla riforma del mercato del lavoro e sull'articolo 18. La discussione sul ddl delega è ripresa questa mattina nell'aula del Senato. Fonti di Palazzo Chigi sottolineano, contrariamente a quanto riportato oggi da notizie di stampa, come il voto di oggi sulla fiducia riguardi evidentemente l’articolo 18. Lo si è spiegato per mesi ovunque, puntualizzano, persino nelle sedi di partito. La delega attribuisce al governo il dovere di superare l’attuale sistema e il presidente del Consiglio, riferiscono, ha indicato con chiarezza la direzione. Chi vota la fiducia vota la fiducia al presidente del Consiglio e al governo che sostengono la necessità di riformare l’intero mercato del lavoro, come esplicitato dalla delega. Che essendo delega non può che avere la portata definita dal testo normato.

"L’emendamento è pronto. Attendiamo la fine della discussione generale per presentarlo in Aula", ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, lasciando il convegno dell’Aiga per recarsi in Senato.

Uno dei ribelli del Pd, Pippo Civati, ha espresso dubbi sulla formula adottata dall'esecutivo: "Ma se la delega non cita l’articolo 18, come farà il governo a "decretare" sull’art. 18? Prima di presentare emendamenti (che non emendano granchè) e di mettere la fiducia su una legge delega vaga e imprecisa, varrebbe la pena di rileggersi l’articolo 76 della Costituzione (e magari anche l’articolo 77). La furbizia di non mettere in delega alcun riferimento all’articolo 18 per ottenere la fiducia comporta una banale conseguenza. Che in base a questa delega il governo non potrà legittimamente modificare l’articolo 18. E, se lo farà, chiunque potrà ricorrere alla Corte costituzionale e avere ragione, come dimostra una vasta giurisprudenza in questo senso. Ma tanto non è importante essere, importante è sembrare".

Promette battaglia alla Camera Gianni Cuperlo: "La partita resta aperta. Non si fanno vere riforme puntando sulla divisione del Paese e ora la parola passa alla Camera che va messa nella condizione di discutere e migliorare il testo. Servono risorse certe perchè l’impegno sacrosanto a estendere tutele e ammortizzatori abbia gambe per camminare. Mettere al Senato la fiducia sul Jobs Act è stato un errore serio".

Al Jobs Act si sono opposti i senatori grillini che, mentre parlava il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, hanno inscenato una protesta sopra le righe. Capofila della rivolta il capogruppo del M5S a Palazzo Madama Vito Petrocelli che, dopo essere stato più volte richiamato, è stato espulso dal presidente del Senato Pietro Grasso. "Sono stato espulso per aver mostrato in Aula un foglio bianco. Il foglio rappresenta la delega in bianco che il governo vuole farci firmare con la fiducia sul Jobs Act - ha commentato Vito Petrocelli - per la prima volta un capogruppo viene espulso dal Senato per aver mostrato un cartello perfettamente bianco, rasentiamo l’assurdo". Nonostante l’espulsione dall’Aula il capogruppo del M5S ha deciso di restare in Aula assieme a diversi senatori grillini.

Nuova bagarre quando il presidente Pietro Grasso ha messo in votazione le richieste di variazione del calendario: contro di lui sono stati lanciati libri e fogli vari. "Non si può, non si può", hanno urlato i Cinque stelle, mentre il capogruppo della Lega, Gianmarco Centinaio, è sceso dai banchi del Carroccio e ha tirato contro Grasso un librone contenente il regolamento del Senato.

La minoranza democratica annuncia battaglia a Montecitorio. "Sono stati fatti passi avanti ma non basta", dicono i 35 firmatari di un documento contro il Jobs Act. I "ribelli" voteranno la fiducia, ma proseguiranno la loro lotta per le modifiche alla delega alla Camera. Lo strappo è troppo grave,

538em;">per il civatiano Walter Tocci, che si presenta al capogruppo Luigi Zanda e annuncia: "Voto sì ma poi mi dimetto da senatore". Un intento da cui i colleghi hanno cercato di dissuaderlo.

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