Kabul, prigione delle donne: "Lottiamo ma abbiamo paura. Ci avete illuse e poi tradite"

Kabul, prigione delle donne: "Lottiamo ma abbiamo paura. Ci avete illuse e poi tradite"

Kabul

«I talebani per me sono incubo. In pochi giorni m'hanno preso tutto. M'hanno rubato vent'anni di studio e di lavoro. E con quelli anche il resto della mia vita. Ma a farmi ancor più rabbia è il modo in cui ci avete trattato voi occidentali. Prima ci avete illuso, poi ci avete abbandonate e tradite. Io sono laureata all'università Americana, faccio la giornalista, sono stata in Italia per uno stage con l'Università Cattolica di Milano e ho lavorato per un programma di ricerca olandese. Tutti dall'Italia, all'America, all'Olanda hanno promesso di portarmi via.

Invece eccomi qua. Abbandonata in un paese trasformato in una grande prigione per donne. Più ci penso più mi chiedo come facciate a non vergognarvi. Se questo era il modo in cui volevate aiutarci perchè ci avete spinte a lottare per i nostri diritti? Perché ci avete chiesto di studiare? Perché ci avete convinto dell'importanza di lavorare? Perchè ci avete illuse per vent'anni e abbandonate in questo modo indegno?».

Roxane, chiamiamola così, ci ha dato appuntamento nelle sale deserte di un ristorante nel cuore di Kabul. Per arrivarci indisturbata ha trascinato con se la nipotina di quattro anni, figlia della sorella. «Altrimenti- spiega - rischiavo di avere seri problemi. Nessuno l'ha detto ufficialmente, ma a nessuna donna è più permesso girare sola per strada. Non lo dicono , ma lo sappiamo tutte purtroppo è così». Roxane ha 28 anni, ma degli otto vissuti ai tempi del Mullah Omar, ricorda poco o nulla. «Quando ci pensavo mi tornava alla mente solo il dolore di mia madre disperata per non potermi mandarmi a scuola. Fino al 15 agosto, però, era solo un ricordo lontano. Oggi è la realtà. Nel giro di una notte mi son ritrovata nella stessa prigione in cui era vissuta mia madre».

Per visitare la prigione di cui parla Roxane sono sufficienti quattro passi al Faryab Market, un grande magazzino nel cuore di Kabul. I suoi larghi corridoi ,su cui si affacciavano i negozi d'abbigliamento femminile sono desolatamente vuoti. Dietro le vetrine sono rimasti solo i manichini, sconciamente ignudi. Sugli scaffali non c'è più neppure un capo. E anche i saloni di bellezza aperti negli ultimi vent'anni intorno a Charai Yaqub si vanno adeguando alle logiche estetiche del nuovo emirato. Una mano di vernice nera opaca ha ricoperto le entrate dai colori troppo appariscenti mentre i volti di donna sono stati cancellati assieme alle acconciature. Ma quel che più inquieta le donne di Kabul è il senso d'incertezza, l'insicurezza per il domani, il timore di dover render conto del proprio passato di studio e di lavoro. «Abbiamo paura, tanta paura racconta Tamanne, un insegnante 28enne, in fuga dallo scorso agosto. In quei giorni io e la famiglia eravamo ancora nella nostra casa nel Wardak quando improvvisamente ci siamo trovati i talebani per strada. In 24 ore abbiamo fatto le valige e siamo corsi qui a Kabul. Loro però ci hanno raggiunto e così siamo di nuovo prigionieri. Ma ora oltre alla prigionia rischiamo la fame. A me hanno già fatto capire di non presentarmi nella scuola dove speravo di lavorare. Il motivo? Non posso più insegnare ai bambini di oltre dieci anni. Mio marito che insegnava in un'università privata è a casa perchè l'istituto non può riaprire. Quindi siamo sul lastrico. Non abbiamo neppure i soldi per mettere qualcosa nei piatti».

Seppur impaurita e disperata Tamanna non rinuncia a lottare. Un paio di giorni fa - quando l'abbiamo incontrata per la prima volta - era in mezzo ai dimostranti dispersi a colpi di kalashnikov dal nuovo ordine talebano. «Le manifestazioni - sostiene convinta e orgogliosa - sono l'ultimo spiraglio di libertà rimastoci.

L'ultima speranza di costruire un futuro migliore per questo paese. Certo abbiamo paura, tanta paura, ma le alternative quali sono? Se rinunceremo a lottare l'unica alternativa sarà fuggire. E dire addio per sempre al nostro Paese».

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