Matteo al bivio: sul rischio urne c'è l'incognita Ue

Renzi vuole andare al voto prima possibile. Ma Bruxelles potrebbe rovinargli i piani

Matteo al bivio: sul rischio urne c'è l'incognita Ue

Renzi, appare ormai evidente, spinge deciso sull'acceleratore. Tanto che sotto l'albero di Natale promette ci sarà non solo il via libera alla legge di Stabilità, ma pure il varo del Jobs Act (decreti attuativi compresi) e il voto del Senato sulla nuova legge elettorale, con l'obiettivo di farla approvare in via definitiva entro febbraio. Un trittico niente male e che impegnerà non poco il Parlamento e in particolare Palazzo Madama, dove i numeri della maggioranza sono decisamente più risicati. Proprio ieri, per dare l'idea del clima che si respira in Senato, tre senatori dei Popolari per l'Italia (Mauro, Di Maggio e D'Onghia) sono passati nel gruppo Gal, così da potere contrattare volta per volta il loro voto.

La partita che si appresta a giocare il premier, dunque, qualche incognita se la porta dietro. Perché - bene lo insegna il passato - quando le maggioranze parlamentari si muovono sul filo di qualche voto l'incidente, magari non intenzionale, è sempre dietro l'angolo. E, è la sensazione di chi frequenta le stanze di Palazzo Chigi ma pure di un Berlusconi che da qualche settimana ha rimesso in moto la macchina elettorale, se davvero il governo inciampasse in qualche votazione chiave a Renzi non dispiacerebbe poi troppo. L'idea delle elezioni anticipate, infatti, il leader del Pd la accarezza da un po'. Anche se sulla strada delle urne pesano due problemi. In primo luogo è necessario che qualcuno si faccia carico di dare il «la» alla crisi, perché Renzi non ci pensa affatto a passare per il responsabile di un simile salto nel buio. In secondo c'è da valutare quale sarà la reazione di un'Europa che non vede affatto di buon occhio il voto in primavera.

Ed è questo il vero freno che ha il premier nel forzare la via delle urne. Già a fine ottobre, infatti, Bruxelles ha fatto capire a Renzi di non andarci troppo per il sottile, tanto da imporgli una correzione della manovra che non ha precedenti: lo 0,3% del Pil, circa quattro miliardi di euro. Correzione che il premier ha accettato senza battere ciglio, forte anche di una stampa assai benevola. Il messaggio però è chiaro.

Se davvero il leader del Pd dovesse farsi prendere da tentazioni elettorali, infatti, c'è chi è pronto a scommettere che la Borsa tornerebbe a scendere di botto e lo spread a salire vertiginosamente. Con la promessa che il prossimo premier si ritroverebbe gli emissari di Bce, Fmi e Ue a fare la spola tra Palazzo Chigi e via XX Settembre.

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