Ma l'astensione italiana era un favore al Qatar in cambio di investimenti

L'emirato che punta alla direzione dell'Unesco ha già messo le mani sull'Ateneo di Tor Vergata

Ma l'astensione italiana era un favore al Qatar in cambio di investimenti

Qualcuno già la chiama «sottomissione». Comunque sia per capire, o meglio ricordare, le ragioni del mancato «no» alla mozione dell'Unesco che nega le radici ebraiche del Muro del Pianto Matteo Renzi non deve fare molta strada. Deve solo riguardare le foto del suo mandato.

Incominciando da quella del 16 gennaio scorso che lo ritrae a Palazzo Madama in compagnia del ministro dell'Istruzione Stefania Giannini mentre presenzia all'accordo di collaborazione tra l'Università dei Tor Vergata e l'emirato del Qatar. Un accordo con cui viene concesso all'emirato wahabita, grande ispiratore e sostenitore della mozione anti-israeliana, di penetrare il nostro mondo accademico. Subito dopo quell'accordo il governo Renzi e il nostro paese si trasformano nei grandi sponsor di Hamad bin Abdulaziz al Kawari, il diplomatico ed ex ministro della Cultura del Qatar candidatosi alla carica di prossimo Direttore Generale dell'Unesco. Una candidatura presentata in vista della fine del mandato della bulgara Irina Bokova in scadenza tra un anno. Proprio in virtù del sostegno concessogli dal nostro governo il 19 settembre scorso Al Kawari si presenta a Roma dichiarando di voler iniziare dall'Italia la campagna per la poltrona dell'Unesco. Una decisione seguita dall'immediato omaggio di una laurea «honoris causa» regalatagli proprio dall'Università di Tor Vergata. Una laurea che solleva i sospetti di molti accademici. I più scrupolosi fanno notare come l' assegnazione si sia conclusa in maniera quanto meno anomala visto il mancato voto preventivo del Dipartimento interessato. I più maliziosi obbiettano sull'opportunità di assegnare un titolo così prestigioso ad un personaggio accusato dal Centro Simon Wiesenthal di aver patrocinato le pubblicazioni anti semite distribuite dallo stesso Al Kawari, in qualità di Ministro della Cultura, durante la fiera del libro di Doha.

Ma a sollevare ulteriori voci sulle relazioni intessute dal nostro governo con il candidato alla Direzione Generale dell'Unesco contribuiscono anche le foto che lo ritraggono, un mese fa, in compagnia del ministro dell'istruzione Stefania Giannini e poi di quello dell'Economia Pier Carlo Padoan. Incontri perfettamente leciti, ma sproporzionati all'importanza del passaggio romano di Al Kawari.

L'inusuale sostegno fornito ad Al Kawari e l'astensione su una mozione Unesco fortemente appoggiata dal suo paese vanno visti, però, anche alla luce della penetrazione del Qatar nelle nostra economia e nella nostra società. Una penetrazione avviata all'epoca del governo Monti quando l'allora premier si reca nell'emirato prospettando alla «Qatar Investment Authority» investimenti a prezzi di saldo in un'economia abbattuta a colpi di spread.

Sul fronte economico la prima conseguenza è la costituzione, nel marzo 2013, di una «joint venture» denominata «IQ Made in Italy Investment Company S.p.A.» controllata al cinquanta per cento dal «Fondo Strategico Italiano Spa» - la holding di Cassa Depositi e Prestiti - e dalla Qatar Holding LLC. Un'iniziativa seguita dai massicci investimenti del Qatar che oltre a comprarsi i grattacieli di Milano Porta Nuova, acquisisce il controllo del gruppo Valentino, di gran parte della Costa Smeralda, di un 25% del gruppo Cremonini e di numerosi hotel a cinque stelle.

Investimenti condotti parallelamente al trasferimento di 25 milioni di euro destinati alla costruzione di 33 fra moschee e centri islamici. Con buona pace di chi ancora si chiede perché all'Unesco non difendiamo più Israele.

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