"L'esempio del Ragazzo di campagna. Anche la mia Milano era fatta di sacrifici"

L'attore ricorda la sua gioventù nel capoluogo lombardo: "Bisogna sapersi adattare, ma i ragazzi che oggi protestano hanno ragione"

"L'esempio del Ragazzo di campagna. Anche la mia Milano era fatta di sacrifici"
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Gentilissimo, proprio come i grandi attori del Novecento, Renato Pozzetto risponde subito al telefono e si dice «dalla parte degli studenti che protestano per il caro affitti». Ma poi ricorda la sua gioventù di «figlio della guerra» che si è sempre divertito «sapendo di essere povero. Non si può volere la Rolls Royce se papà fa l'operaio».

Con personaggi come Artemio ne «Il ragazzo di campagna» ha disegnato il profilo di chi da giovane si trasferisce nella metropoli con tanti disagi e molta pazienza.

«Ho fatto le elementari appena finita la guerra, poi le medie e l'istituto per geometri. Il problema era avere i soldi del tram. Mio padre non mi comprava l'abbonamento perché aveva paura che me ne sarei andato per i fatti miei in giro per il centro. Così mi accompagnava a scuola».

La casa era un problema?

«Durante la guerra eravamo sfollati a Gemonio. Poi a Milano vivevamo nelle case minime degli sfollati. Non c'era da mangiare, la vita era dura. Ma io non ho mai avuto problemi, non desideravo cose che non potevo avere. Anzi, mi ha fatto venire in mente un ricordo...».

Quale?

«Da bambino ero già appassionato di motori, ma non potevo ovviamente averne. Perciò avevo imparato a riconoscere tutti i motori che giravano per il paese. Era l'epoca in cui mi facevo il monopattino con le assi trovate e giravo con la bici senza copertoni. Solo dopo un po' di tempo mio papà me li ha comprati».

Gli studi da geometra e poi le prime serate con Cochi Ponzoni.

«Con Cochi andavamo a cantare in una osteria (L'Osteria dell'Oca di Milano, ndr) dove c'erano tanti pittori tra i quali Piero Manzoni e Lucio Fontana. Noi suonavamo la chitarra, cantavano brani popolari e anarchici e i pittori si divertivano. Poi sono arrivati il Derby e tutto il resto che è arrivato».

Insomma, ha fatto sacrifici.

«Mio papà era impiegato di banca e doveva mantenere anche gli studi di quattro figli. Mio fratello per andare all'Università, lavorava di giorno e studiava alla sera e di notte. Ho imparato così a non desiderare cose che non potevo avere. Sa qual è la differenza principale tra i ragazzi di allora e quelli di oggi?».

Dica.

«Noi eravamo allenati alla povertà, oggi non è più così per fortuna. Ma bisogna evitare anche un altro rischio...».

Il rischio di augurare le stesse cose anche alle nuove generazioni.

«Non si può dire cose del tipo io non avevo una lira e quindi voi non potete avere il cellulare o tutto ciò che oggi fa parte della vita quotidiana».

Molti «rimproverano» ai ragazzi di non avere tanta propensione ai sacrifici.

«La mia prima vacanza è stata a casa di un amico a Bobbio (in provincia di Piacenza a pochi chilometri da Milano, ndr) e ci sono arrivato in autostop con uno zainetto.

Ho fatto i primi soldi in un cabaret da venti persone per sera. Non è stato facile e non era scontato che accadesse quello che poi per fortuna mi è accaduto. Certo, nella vita ci vuole fortuna, ma bisogna anche sapersi adattare».

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