La lezione di Londra all'Italia "Non vogliamo altri profughi"

Il ministro dell'Interno May ribadisce il rifiuto: "Rimandateli in Africa". Una posizione legittima che Bruxelles non può sanzionare o contrastare

La lezione di Londra all'Italia "Non vogliamo altri profughi"

«Ci opporremo ad ogni proposta della Commissione Europea di introdurre quote non volontarie». «Le persone raccolte nel Mediterraneo vanno riportate in Africa». I due secchi diktat pronunciati ieri dal ministro degli interni inglese Theresa May sono la prova dell'ennesima fregatura inflittaci dall'Europa con la complicità del nostro governo e della compatriota Federica Mogherini. Le dichiarazioni della May non sono, infatti, una stizzita reazione al nuovo piano di quote deciso dalla Commissione, ma una dichiarazione d'intenti legittima e concordata che l'Unione Europea non può in alcun modo sanzionare e contrastare. E che finirà con il far collassare l'intero piano quote non appena i paesi dell' Est Europa e quelli Baltici pretenderanno gli stessi privilegi concessi a Londra, Dublino e Copenaghen.

A quel punto i profughi dovremo spartirceli con Francia e Germania coautori assieme a noi della sgangherata agenda quote. Ma solo se Parigi e Berlino saranno disponibili a rispettare- nel nome del buon cuore - gli accordi che Bruxelles non riuscirà ad imporre a nessun altro.

Per comprendere la legittimità, ma anche la pericolosità, della posizione inglese bisogna partire dal Trattato di Dublino, ovvero dall'accordo in base alla quale l'Italia è costretta ad accollarsi tutti profughi ripescati dalle proprie navi nel Mediterraneo. Conoscendo l'indisponibilità di Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca, e di gran parte dei paesi dell'Europa Orientale, a farsi carico di nuovi richiedenti asilo la Commissione Ue si è ben guardata dall'avviare una modifica di quel Trattato. Anzi, prima di mettere a punto le nuove disposizioni sulle ripartizioni si è addirittura premurata di offrire una via d'uscita legale ai paesi pronti a rifiutarci qualsiasi solidarietà nel nome di Dublino. Nel buro-linguaggio di Bruxelles la via dell' egoismo è stata battezzata «opt out» ovvero «opzione fuori». Ma per renderne meno imbarazzante l'adesione è stato deciso di applicarla all'incontrario. Grazie ad uno stupefacente accordo preventivo discusso con la Commissione di Bruxelles la Gran Bretagna, l'Irlanda e la Danimarca, non dovranno neppure comunicarci la mancata adesione alla nuova agenda di quote europee. E questo perché fino a quando il Trattato di Dublino continua a rappresentare la norma gli euro-egoisti continuano ad essere dalla parte del giusto e possono quindi fregarsene dell'Italia e di tutti gli altri paesi effetti da insana compassione umana. Nel caso di un'improbabile crisi di coscienza, o di un indicibile senso di colpa, potranno sempre alzare la manina ed esercitare l' «opt in» accogliendo un numero di disgraziati a piacimento.

Ovviamente non succederà mai, ma a Bruxelles l'ipocrisia è sempre la regola. Quel che invece avverrà immancabilmente sarà la rivolta dei paesi dell'Europa Orientale. Polonia, Slovacchia, e Repubblica Ceca, oltre che Lituania Estonia e Lettonia, sono già pronti a rifiutare le quote fissate dal Bruxelles pretendendo di beneficiare delle stesse opzioni offerte a Londra, Dublino e Copenaghen. Pretesa scandalosa visto che l'anno scorso Repubblica Ceca e Slovacchia hanno concesso asilo rispettivamente a 765 e 175 migranti a fronte dei 247mila della Germania e dei 64mila dell'Italia.

L'egoismo più paradossale è però quello di Varsavia. Il milione e passa di polacchi trasferitisi in Inghilterra - senza contare bulgari e rumeni- in virtù delle leggi europee sulla libera circolazione è infatti all'origine dell'insofferenza britannica verso qualsiasi ipotesi di accoglienza obbligatoria. Ma questa è l'Europa e le nuove disposizioni sulle quote dei migranti ne sono il frutto. Il frutto malato di un coacervo di nazioni che affronta le emergenze con i tempi e le capacità reattiva di una burocrazia agiata e senescente. Forse per questo più che a Bruxelles bisogna guardare a Londra dove per antica tradizione i problemi non vengono aggirati, ma affrontati.

E dove davanti ad un'ondata migratoria ormai ingestibile si mandano le navi a salvare i migranti a condizione che subito dopo - come precisa Theresa May - vengano riaccompagnati verso le stesse sponde africane da cui sono salpati.

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