Libia, la terra promessa degli italiani

La Libia è sempre stata vista come terra fertile per gli italiani

Libia, la terra promessa degli italiani

“Vivranno liberi e sereni su quella terra che sarà una continuazione della terra nativa, con frapposta la strada vicinale del mare. Troveranno, come in patria, ogni tratto le vestigia dei grandi antenati. Anche là è Roma”. Parole di Giolitti? Mussolini? O D’Annunzio? No, a parlare così nel 1911 era stato un altro letterato italiano, Giovanni Pascoli, famoso per la sua fede socialista.

Nel suo discorso “la grande proletaria si è mossa”, la Libia rappresentava la terra il prolungamento naturale dei confini italiani che avrebbe provveduto a dare lavoro ai contadini e agli operai costretti a emigrare. In cambio l’Italia doveva “per la sua parte all'umanamento e incivilimento dei popoli”. Ben prima che vi arrivasse l’Eni, dunque, la Libia, sia a destra che a manca, è sempre stata vista come terra fertile per gli italiani e Gabriele D’Annunzio, nel suo Canti della guerra d’oltremare, decantava “Tripoli, bel suol d’amore”. È stato, poi, il fascismo a creare la “Libia italiana” e Mussolini la affidò a un eroe del regime come Italo Balbo, noto aviatore, che nel 1934 ne divenne governatore e la trasformò unendo la Tripolitania e la Cirenaica. Tra il 1936 e il 1939 gli italiani divennero il 13% della popolazione libica e contribuirono alla costruzione della litoranea via Balbia, mentre i libici, per il regime, assunsero l’appellativo di “musulmani d’Italia”. Balbo era riuscito a dare lustro al primo pezzo d’Impero d’Italia per poi, nel 1940, la morte (in)gloriosa a Tobruch in un’incidente della contraerea italiana. A segnare il rapporto tra la Libia e l’Italia non è stato solo il fascismo ma soprattutto il petrolio e i comuni interessi commerciali.

Con l’arrivo al potere di Mu'ammar Gheddafi l’espulsione di massa degli italiani libici (tra cui anche Valentino Parlato, fondatore del Manifesto, cacciato a causa della fede comunista) ma a tenere uniti i due Paesi ci ha pensato l’avvocato Gianni Agnelli. Nel 1976, infatti, la banca centrale libica del colonello Gheddafi entra in Fiat col 10% e nel 2002 la famiglia Gheddafi compra il 5% delle azioni della Juventus. Tre anni dopo la compagnia petrolifera Tamoil lo sponsor ufficiale della squadra fino alla retrocessione in serie B, ma la Libia aveva già inconsapevolmente dato alla Juve un campione del mondo, Claudio Gentile, nato a Tripoli nel 1953 e soprannominato per questo “Gheddafi” o “il libico”.

Da Tripoli arrivano anche il cantante Franco Califano e Franco Coppi, l’ex avvocato di Giulio Andreotti, mentre, sempre in campo calcistico c’è da segnalare nei primi anni 2000 lo sbarco del terzo figlio del colonnello Gheddafi, Saadi, nel Perugia, nell’Udinese e nella Sampdoria. Dal 2011 in poi da Tripoli sbarcano solo immigrati…

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