C'è un libro che non leggerete mai, neppure qualora voleste davvero fare lo sforzo. Non potrete acquistarlo in libreria né su Amazon (solo qualche fortunato c’è riuscito). E non avrete il piacere di sfogliarlo di fronte al calore del caminetto a meno che non vogliate sborsare 500 euro su eBay. Non si tratta per fortuna di un’opera d’arte: il mondo sopravviverà anche senza averlo sugli scaffali. Ma è un testo curioso, politicamente imbarazzante, per molti versi scottante. Difficile dare un voto a “Perché guariremo” di Roberto Speranza, ministro della Salute al tempo del Covid. È un libro solo per brevi tratti interessante e spesso banale. Non risponde ai tanti perché sulla gestione dell’epidemia. Resta vago. La storia al suo interno risulta annacquata. È sicuramente troppo ottimista sulla fine della pandemia (visto come sono andate le cose). Ma soprattutto presenta pochi mea culpa e troppe auto-assoluzioni. Insomma: non proprio un granché.
A dire il vero, probabilmente non avrebbe neppure incontrato grande interesse pubblico se la Feltrinelli e il suo autore non avessero deciso, a fine ottobre, di ritirarlo dal mercato. La pubblicità inversa provocata dal richiamo in corsa del volume è stata il volano della curiosità: cosa avrà mai scritto in queste 200 pagine il ministro della Salute per decidere di gettare al vento ore ed ore di lavoro? Cosa potrebbe rivelare il contenuto? Perché bloccarne la vendita quando tutto era predisposto per il lancio in pompa magna?
Va detto che non siamo i primi né gli unici ad averlo potuto analizzare da cima a fondo. Ma leggere il “libro scomparso” di Speranza sarà probabilmente un privilegio di pochi. Per sempre. Così in questi giorni, chiusi in zone rosse ed arancioni, tra incomprensibili dpcm e altrettanto vaghe Faq governative, abbiamo pensato ad un modo per farvelo avere indirettamente: raccontarvelo tutto, pezzo per pezzo. Non una semplice recensione (di quelle ce ne sono a bizzeffe), ma un’analisi del contenuto capitolo per capitolo, o quasi (qui troverete tutti gli articoli raccolti). Iniziamo allora oggi dall’incredibile premessa e dall’ottimismo che quest’estate aveva pervaso l’esponente di Leu. Prima del disastro autunnale.
Primo quesito: perché Speranza si è messo alla scrivania? “Non perdere la memoria di quanto è accaduto in questi mesi è il primo motivo che mi ha spinto a scrivere questo libro”, dice nelle prime righe del testo. Il secondo motivo è la “necessità di trasmettere un messaggio positivo, di cui credo abbiamo bisogno”. Già, perché al di là delle difficoltà, il ministro è convinto che “dobbiamo guardare al futuro con fiducia”. E anche dal punto sulla “ripresa economica e sociale” vede “segnali incoraggianti” (alla faccia…). Speranza si lancia addirittura in una previsione che, letta oggi, dopo oltre 30mila vittime provocate dalla seconda ondata, sa di tragica beffa. Il ministro ci apre l’opera: “Non ci sono dubbi. Guariremo”. Le cronache di ottobre, novembre e dicembre, così come i numeri sui decessi e sui contagi, dicono in realtà il contrario: la previsione era sballata.
Non sarà stato quel “guariremo” ministeriale a portare sfiga, ma l’imbarazzo di Speranza è comprensibile: come si fa ad uscire in libreria predicando la salvezza definitiva quando anziani e pazienti muoiono sotto i colpi del virus? Certo in alcune righe il ministro ammetteva che “la pandemia non è domata”, che “non dobbiamo abbassare la guardia” e che in Italia “non siamo ancora in un porto sicuro”. Ma ne era convinto: “Il potere di questo maledetto virus ha i mesi contati”. E invece la seconda ondata, a conti fatti, ha ucciso più della prima.
Nel Libro nero del coronavirus (leggi qui), chiuso quasi in contemporanea con quello di Speranza, concludevamo: gli errori nella prima fase sono forse giustificabili dall’effetto sorpresa, ripeterli però sarebbe imperdonabile. Alla fine, purtroppo, è andata proprio così. Speranza deve aver capito che quanto scritto in estate era stato superato dagli eventi autunnali. Dopo quanto successo “nessuno di noi potrà dire ‘non lo sapevo’”, vergava nel testo. Oppure: “Non possiamo più permetterci di essere colti disarmati di fronte alla violenza di una eventuale nuova pandemia”. E invece disarmati ci siamo trovati non di fronte ad un altro “eventuale” agente patogeno, ma allo stesso che solo pochi mesi prima aveva già incrinato il tessuto sociale, sanitario ed economico del Paese. Lo “sapevamo”, ma siamo stati travolti lo stesso. Per questo ha stupito molti, e si capisce, che il ministro della Salute - nel pieno dello “stato di emergenza” - abbia trovato il tempo per realizzare un volume così corposo. Non era meglio impegnarsi a costruire gli argini invece di predicare cautela?
Secondo quesito: quando ha iniziato a scrivere Speranza? Si è detto da più parti che il libro sarebbe nato durante l’estate, quando i contagi erano in calo. A leggere bene la premessa, però, sembra che l’idea sia sorta già durante le fasi più critiche della pandemia. Cioè: la gente moriva, e lui pensava al saggio da editare? Lo dice lui stesso: “Ho deciso di scrivere nelle ore più drammatiche della tempesta, nelle lunghe notti in cui il sonno di sfuggiva”. Non solo: “Scrivo mentre ancora, ogni giorno, combattiamo il Covid in tutto il mondo. Scrivo nei ritagli di tempo, immerso nel mio lavoro di ministro della Salute”. Non era meglio riposare di più, per conservare maggior freschezza? Oppure dedicarsi esclusivamente alla risoluzione dei tanti problemi sorti in questi mesi?
Mettere al mondo un libro è sempre buona cosa. Quando però gli autori sono i protagonisti delle vicende narrate, sarebbe il caso di attendere la fine degli eventi o almeno la conclusione del mandato. Per sfuggire alle brutte figure, banalmente. O anche solo per evitare di dover cestinare l’opera. Come successo a Speranza.
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