"L'impegno del governo un impiego ai detenuti"

Il sottosegretario alla Giustizia: "Non solo rimpatri per gli stranieri. Chi è in cella lavori"

"L'impegno del governo un impiego ai detenuti"

Andrea Ostellari è il sottosegretario alla Giustizia con delega ai detenuti e provveditorati. Il giorno dopo l'evasione dei 7 ragazzi si è recato al carcere minorile Beccaria di Milano per verificare l'accaduto e ha avviato un'indagine interna. Ma il problema atavico della situazione delle carceri in Italia non si esaurisce con gli eventi di cronaca. Il sottosegretario Delmastro in una intervista ieri su queste pagine ci ha detto che una soluzione su cui stanno lavorando contro il sovraffollamento è il rientro nel Paese di origine dei 19mila detenuti straniere, e il trasferimento dei tossicodipendenti dal carcere alle strutture di comunità per la disintossicazione.

Sottosegretario Ostellari, cos'altro si può fare per migliorare la condizione dei detenuti e delle carceri italiane?

«L'idea di far scontare agli stranieri la pena nel Paese di origine è sacrosanta, ma ottenere effettivamente i rimpatri è difficile. Aldilà del tema di cui ha parlato il collega sottosegretario Delmastro ve n'è un altro che è direttamente collegato alle mie deleghe. Cosa facciamo fare ai detenuti? Partiamo da un presupposto: l'ozio è il padre dei vizi. Le rivolte in carcere avvengono soprattutto perché la gran parte dei detenuti oggi guarda il soffitto e in carcere non impara alcuna mansione: su 55mila reclusi, solo il 34% lavora (dati al 5.12.2022). Noi diciamo: facciamoli lavorare tutti. Così imparano un mestiere, costano meno allo Stato, risarciscono con parte del loro stipendio l'amministrazione penitenziaria che li ospita e la società. E, particolare non da poco, quando escono probabilmente smettono di delinquere. Su questo i dati sono lampanti: la recidiva per i detenuti che non lavorano è del 70%, per quelli che lavorano scende al 2%».

Investirete su questo?

«Non solo su questo, il governo ha già approvato nella manovra l'assunzione di 1000 agenti dal 2023, poi ci sono investimenti per l'edilizia penitenziaria e circa 10 milioni per il trattamento dei detenuti, tra cui appunto le possibilità di lavoro».

Lavoreranno fuori o dentro al carcere?

«Entrambi. Chi ha pene minori deve avere garantita la possibilità di sfruttare a pieno misure alternative con lavoro in articolo 21. Gli altri devono scontare la pena in carcere, ma lavorando. Occorre però aumentare le disponibilità anche di spazi interni agli istituti, con interventi sull'edilizia e coinvolgendo di più il terzo settore. Ad oggi l'84,7% lavora alle dipendenze del Dap, il restante 15,3% presso datori di lavoro esterni, quali per esempio aziende o cooperative».

Tutto questo discorso non vale per i detenuti in attesa di giudizio che oggi non possono lavorare, rendendo anche più difficile la permanenza in carcere per quelli che devono scontare la pena definitiva?

«In Italia c'è un abuso evidente dello strumento della custodia cautelare. È ora di cambiare strada. Noi dobbiamo essere garantisti durante tutte le fasi: quella preliminare, con meno misure cautelari preventive, quella processuale, per tutte le parti coinvolte e, nei casi di condanna, quella della pena. Lo ripeto: garanzia durante le indagini, nel processo, e dopo, senza sconti, durante l'esecuzione dignitosa della pena, dando la possibilità al condannato di rieducarsi, come prevede la nostra Costituzione».

Ci riuscirete?

«Le carceri non possono essere luoghi fuori dal mondo, dove il diritto e la dignità delle persone vengono sistematicamente violate. Ne va della qualità della vita democratica».

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