La tradizionale festa di capodanno al «Mar a Lago club», in Florida, si è svolta senza Donald Trump. Col suo stile da D'Artagnan che non chiede il permesso a nessuno, un giorno prima del previsto il Presidente che lascia la Casa Bianca il 20 di questo mese per passarla a Joe Biden, ha abbandonato gli amici e se ne è tornato a Washington.
Nessuno sa perché, ma quando si parla di Trump si parla sempre di svolte fatali, di gesti super grandiosi e, naturalmente, super discutibili, specie ora che Biden poi se li dovrebbe buscare. La chiacchiera del villaggio internazionale è molto drammatica e riguarda una possibile guerra con l'Iran.
Domani, 3 gennaio, ricorre l'anniversario dell'eliminazione di Qassem Soleimani: il generale, rappresentato su tutti i muri di Teheran e ovunque allignino i suoi ammiratori, da Hamas a Gaza, al Libano degli hezbollah, allo Yemen dei Houty, all'Irak delle varie milizie sciite, è una delle proclamazioni continue, da un anno, della volontà di una vendetta terribile che deve investire gli Stati Uniti e Israele.
Il rumore di questa intenzione è diventato un tuono col trascorrere degli ultimi giorni: Nasrallah ha tenuto un discorso furioso, Hamas ha voluto dimostrare con un drill militare senza precedenti e con un bombardamento a Sderot di essere pronto alla guerra. Infine ieri Teheran ha ribadito i propositi di vendetta per l'uccisione di Soleimani: i suoi killer «non saranno al sicuro sulla Terra», ha assicurato il capo dell'autorità giudiziaria della Repubblica islamica, Ebrahim Raisi, sottolineando che neanche il presidente Trump, che ordinò l'attacco con un drone, è «immune dalla giustizia».
L'ultimo episodio che ha creato una forte reazione americana, (i B52 hanno bombardato obiettivi iraniani sul territorio iracheno il 29 dicembre), è stato la presa di mira con missili balistici iraniani del compound americano di Baghdad il 20 di quel mese. È stato allora che Trump ha avvertito gli iraniani che ogni danno a cittadini americani avrebbe destato la sua reazione. Dal 25 dicembre anche l'esercito israeliano è in stato di allerta. È plausibile che l'Iran intenda realizzare la sua vendetta tramite i suoi numerosi «proxy» in Siria, Libano, Irak, Yemen, i Paesi in cui Soleimani aveva costruito la sua strategia di dominazione. È facile che la vendetta, oltre agli Usa e Israele, investa i paesi arabi sunniti come gli Emirati, il Bahrain, l'Arabia Saudita, più filoamericani.
Ma Trump in un mese ha inviato nella regione, per tre volte i B52, un sottomarino nucleare e due navi da guerra. Anche un sottomarino israeliano si è diretto in zona. L'Iran potrebbe compiere la sua vendetta proprio alla vigilia del mandato di Biden per non scuotere troppo il nuovo presidente, da cui sperano un nuovo trattato. Ma anche per lui potrebbe essere difficile trovare un terreno comune con Teheran: le notizie dell'Aiea (agenzia internazionale per l'energia atomica), dicono che l'Iran ha accresciuto la sua riserva di uranio 12 volte oltre la quantità permessa dall'accordo di Obama del 2015; la continua minaccia terrorista ha consolidato un fronte mediorientale antiraniano e filoamericano, su cui Trump potrebbe contare se intende concludere il suo mandato con un gesto spettacolare.
Forse vuole sugellare il suo mandato ponendo fine alla minaccia iraniana, da decenni ormai incombente sul Medio Oriente.Cosa farebbe Biden? Tutti gli scenari sono possibili. L'America ne sarebbe sconvolta ma gli Ayatollah si troverebbero nel momento più difficile della loro storia di feroce dominio dal '79, quando andarono al potere.
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