L'Isis che brucia le donne fa scempio della religiosità

Le bambine non sono viste come tali e vengono sbranate dalla perversione travestita da religiosità

L'Isis che brucia le donne fa scempio della religiosità

Avrebbe dovuto essere una di quelle notizie che inducono una reazione mondiale, magari anche una decisione definitiva, seria, persino dura... E invece solo qualche titolo sui giornali, e nemmeno tanto in evidenza. Il titolo delle agenzie è laconico e perfettamente informativo: l'Isis chiude in una gabbia 19 donne yazide e le brucia vive. È accaduto nella zona di Mosul. Ah, pensa il lettore, che orrore: ormai però 19 è un numero come un altro fra tante stragi, torture, mostruosità quotidiane. Avrebbero potuto essere 190 vittime dei mostri, e avrebbero causato lo stesso corrugamento di sopracciglia, la stessa bocca serrata per un attimo solo. Ci siamo abituati.

Donne yazide? Certo, pensiamo rassegnati, l'Isis odia le donne: si sa bene ormai che pratica la schiavitù sessuale, che la ragazza che si ribella viene subito orrendamente punita, che la vendita delle donne è uno dei suoi proventi, che le ragazze che devono sollazzare i gloriosi combattenti della jihad sono spesso bambine anche di sette, otto anni; si sa persino che due bambine si sono suicidate dopo aver subito tanta violenza sessuale, che un'altra ha detto che è stata violata nello stesso giorno da un centinaio di persone. Persone? Animali che adesso hanno dato fuoco a delle creature innocenti, ma che c'è di strano ormai: una recente testimonianza di uno scampato, uno solo, racconta di avere assistito ai roghi di 187 persone, chissà quante altre migliaia sono state fatte fuori così di fronte ad altri testimoni... Tutta la vicenda è ormai parte di un copione assimilato dal pubblico inorridito e indifferente insieme.

Chi non ricorda il giovane pilota giordano Muad Kasasbeah che, in cattività dopo che il suo aereo è stato abbattuto su Raqqa, è stato bruciato vivo, in gabbia, con un'elaborata messinscena immortalata in un video. Per capire, occorre capire che l'Isis si muove secondo il suo disegno del mondo, non secondo un istinto pazzoide: è il modo del VII secolo, l'avvento guerriero dell'Islam. L'Isis spiegò perché aveva bruciato il pilota: c'è scritto nel Corano, se uno brucia il tuo raccolto (con l'aereo) tu devi rispondere col fuoco. La spiegazione sull'eccidio delle donne yazide la si può intuire tutta legata al genere, all'appartenenza e alla loro resistenza alla schiavitù. Gli Yazidi sono un popolo di etnia curda e di religione monoteista di antichissima origine zoroastriana: ovvero, odiosi all'Isis perché i curdi sono i loro più pericolosi nemici, e perché secondo loro sono miscredenti che non si vogliono convertire, e quindi da uccidere.

L'invasione nell'agosto 2014 della loro zona di Sinjar al nord dell'Iraq costò a quei miseri una strage immensa, i fuggitivi furono fra i 300 e i 600mila, gli uomini furono trucidati sul posto, le donne trascinate via come schiave sessuali. Oltretutto le donne curde, della medesima etnia, sono l'incubo dei guerrieri di daesh per la loro bravura invincibile. E comunque, sta fra i temi principali del programma daesh: «noi conquisteremo Roma, distruggeremo le vostre croci, faremo schiave le vostre donne» dice Abu Mohammed Al Adnani, il portavoce ufficiale.

Le donne yazide sono state sistematicamente sottoposte ad una mostruosa teologia dello stupro, che autorizza il violentatore e anzi lo santifica. Le bambine non sono viste come tali e vengono sbranate dalla perversione travestita da religiosità.

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