L'obiettivo di Pechino è l'Europa

Non sappiamo se Xi Jinping voglia veramente la pace. Di certo non gli piace questa guerra. O, perlomeno, non ne sopporta le conseguenze politiche ed economiche

L'obiettivo di Pechino è l'Europa

Non sappiamo se Xi Jinping voglia veramente la pace. Di certo non gli piace questa guerra. O, perlomeno, non ne sopporta le conseguenze politiche ed economiche. Anche perché, dal suo punto di vista, l'intervento russo ha favorito il riallineamento delle principali potenze europee al carro della Nato e degli Stati Uniti. E a quel riallineamento s'è aggiunto un sovvertimento di ruoli ancor meno gradito. Francia e Germania, le due nazioni europee con cui Pechino intratteneva i più stretti rapporti politici e i più intensi scambi economici, si sono ritrovate ridimensionate a causa delle posizioni troppo concilianti nei confronti di Mosca. Regno Unito e Polonia, portabandiera dello scontro con Putin e sostenitori di un'alleanza militare a tutto campo con Kiev, hanno, invece, acquisito maggiore rilevanza in virtù del rapporto preferenziale stretto con Washington. Una situazione insopportabile per Pechino che ha deciso di proporsi come negoziatore anche per riordinare lo sfavorevole scenario europeo. Dal punto di vista di Xi Jinping e dei suoi consiglieri un piano di pace, anche irrealizzabile, rappresenta la carta più adatta a rimescolare le posizioni europee e catturare l'attenzione delle opinioni pubbliche e dei principali governi del Vecchio Continente. Soprattutto nel momento in cui l'amministrazione Biden punta tutto su un'ipotetica controffensiva ucraina e l'Europa si accoda moltiplicando le forniture di armi senza presentare neppure uno straccio di proposta negoziale. In questo scenario il piano di pace diventa, nei piani cinesi, un grimaldello capace di scardinare l'ordine dettato dagli Usa e riconquistare un rapporto privilegiato con Francia, Germania e gli altri paesi europei. Del resto Pechino, abituata a considerare prospettive di lungo periodo, ritiene il rapporto con l'Europa esiziale non solo dal punto di vista strategico, ma anche economico e tecnologico. Sul piano strategico la Cina vuole assolutamente arginare o ridimensionare qualsiasi impegno militare europeo sul fronte dell'Indo-Pacifico. Un obbiettivo cruciale per evitare di affrontare, in caso di scontro con gli Usa, una «invincibile armata» composta non solo da unità americane e asiatiche, ma anche europee. Dal punto di vista tecnologico la ripresa dei rapporti preferenziali con l'Europa è ancora più urgente. I sospetti degli Usa - pronti a mettere al bando tutti i prodotti dell'hi-tech cinese, dai telefonini Huawey alle gru portuali, pur di contenere le attività spionistiche di Pechino - hanno di fatto estromesso il Dragone dal mercato tecnologico statunitense tagliandolo fuori dalle esportazioni e impedendogli l'importazione di componenti elettroniche essenziali. L'Europa resta dunque un mercato da tenere aperto e sviluppare a tutti i costi. Sul fronte economico Pechino punta, invece, a difendere gli investimenti strategici effettuati in Europa nel corso degli ultimi due decenni acquisendo non solo infrastrutture strategiche come porti ed aeroporti, ma anche imponenti partecipazioni finanziarie nei settori dell'energia e delle telecomunicazioni. Per non parlare del fronte commerciale, obbiettivo prioritario di una «Via della Seta» progettata proprio per controllare e governare gli scambi sulla rotte tra Asia ed Europa.

Al Dragone poco importa, insomma, che il piano intessuto tra Pechino e Mosca garantisca un cessate il fuoco in Ucraina. L'importante è trasformarlo in un megafono capace di ricordare alla grande industria europea che solo l'interruzione del conflitto le riaprirà un mercato da un miliardo e quattrocento milioni di consumatori.

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