"L'ospedale è un miracolo, tutto il resto è solo rumore"

Il presidente di Mediaset: "È il momento del silenzio e della preghiera. Conte? Non è Churchill, fa quel che può"

"L'ospedale è un miracolo, tutto il resto è solo rumore"

Tutto il resto è rumore. Chiami per un saluto, per sapere come sta, per una chiacchierata. Questa però non è un'intervista. È uno stato d'animo. Sono le riflessioni di un uomo che ha superato gli ottanta e nella vita ne ha viste tante, ma non si aspettava di vivere una cosa così. È spiazzato, e allora ti spiega con calma perché davvero non sa cosa dire. Non è falsa modestia.

«Domine non sum dignus». È un invito a fare piano, senza gettare confusione nella confusione, magari riusciremo a vedere i contorni di questo spazio bianco. Contagio. Come si fa a raccontare la voglia, il desiderio, di silenzio?

Fedele Confalonieri è a casa, a Milano. «Rinascerà, non rinascerà? E che ne so. Non è che non mi interessa. Sono milanese. Sono vissuto sempre qui, tranne due anni durante la guerra quando, con i miei genitori, sono sfollato a Comano, nel Varesotto. Ci tengo. È la mia città. Solo che ho le tasche piene di tutta questa retorica. Sono uscito per andare dall'oculista, in auto, passando per via Manzoni, e mi è venuta l'angoscia. Non c'era nessuno, deserto, tranne qualche povero fattorino in bicicletta, i pochi che per fortuna si guadagnano ancora qualcosa. Cosa vuoi commentare? Mi sono diventati antipatici pure gli opinionisti. Non li leggo. Non li guardo neppure nei talk show. Non me la sento di mettermi pure io, come si dice qua, a menare il torrone. Parli e dici cavolate. È come quando si sta in chiesa. È il momento del silenzio o della preghiera, per chi ci crede».

Non è neppure il momento di stare troppo a ingaglioffarsi sulla politica. Non è l'ora dei giudizi, questa. Non c'è nulla che possa scuotere l'attenzione. «Cosa puoi dire davanti a tutto questo? Blood, toil, tears and sweat. Sangue, fatica, lacrime e sudore. È che non basta pronunciarle. Non sono una formula magica, con tutto il rispetto Conte non è Churchill. Non è neppure il caso di stare lì a crocifiggerlo, perché poi alla fine uno fa quello che può e bisogna pure ritrovarcisi in certe situazioni. Nessuno era preparato. Chi lo conosceva questo cavolo di virus. Troppo facile stare a sentenziare. No, non mi accanisco».

È che da questa storia surreale che tutti stiamo vivendo si esce scartando di lato. Non ci sono ricette pronte all'uso. Tutto quello che sapevi va ripensato. Siamo finiti in un nuovo paradigma. Sta cambiando la scena, il copione, il rumore di fondo ed è come se l'abituale compagnia di giro parlasse fuori sincrono. Tutti parliamo di nulla. È teatro nel teatro. È per questo che Confalonieri adesso ricorda una scena dell'Amleto di Shakespeare. Polonio, il gran ciambellano, il padre di Ofelia, entra nella stanza del principe di Danimarca. È lì per valutare la sua follia. Amleto ha in mano un libro. «È esattamente come mi sento. Amleto in questi giorni mi fa compagnia. Ricorda questo dialogo? Polonio dice: Che cosa state leggendo, mio signore?. Amleto risponde: Parole, parole, parole. È da lì che il mio amico Teddy Reno ha preso spunto per la sua canzone. Noi siamo solo parole, spesso a vanvera». Italo Calvino si chiede: quale libro Amleto sta leggendo? Shakespeare chiaramente non lo dice. L'ipotesi che fa Calvino è il De Consolatione di Gerolamo Cardano. È un libro sulla morte, sul senso della morte. È in monologo sul teschio di Yorick, uomo di infinite facezie. Sono le ultime parole di Amleto: «Il resto è silenzio».
Qui c'è il desiderio di silenzio di Confalonieri, perché questa è una sfida con la morte, giorno per giorno, posto letto su posto letto, respiratore per respiratore. Non c'è da parlare. C'è da fare. La battaglia per Milano passa anche per un ospedale tirato su dal nulla, un simbolo di speranza. «Mi sembra un miracolo.

In tanti stanno donando quello che possono. Ecco, questo ha un senso.

C'è un saggio di Alex Ross sulla musica del Novecento, Mahler, Strauss, Sostakovic, che gioca con le parole di Amleto. Il titolo è Il resto è rumore». La chiacchierata finisce qui: «L'ospedale è un fatto, tutto il resto, compreso il mio, è rumore».

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