L'ultima sfida del "monaco guerriero" che si illudeva di far ragionare The Donald

Due anni sprecati a spiegare scenari e priorità: poi il generale si è arreso

L'ultima sfida del "monaco guerriero" che si illudeva di far ragionare The Donald

Alla fine Donald Trump si è rivelato un osso troppo duro anche per il segretario di Stato Jim Mattis, un 68enne generale dei marines a quattro stelle conosciuto come il «monaco guerriero» in virtù della sua dedizione e della sua devozione. Non che non ci abbia provato. Per 23 mesi ha spiegato ad un recalcitrante Presidente tattiche e strategie illustrandogli pazientemente i rapporti sulla situazione in Siria, Afghanistan e nel resto del mondo. Ma quando Donald ha liquidato tutto annunciando con un tweet l'addio alla Siria ha capito d'aver buttato il proprio tempo.

Certo, per uno abituato a parlar chiaro i due ultimi anni non sono stati facili. Prima di quella prova «zen» al Pentagono era un generale senza peli sulla lingua pronto a esprimere senza ipocrisie e infingimenti il proprio pensiero. «Far fuori certe persone è un gran spasso soprattutto ripeteva - se vai in Afghanistan e ti ritrovi davanti gente abituata a prender a schiaffi le donne solo perché non portano il velo». E proprio per quell'esagerata voglia di sincerità esibita assieme a una laurea in storia e una libreria di seimila volumi dedicati «allo studio di cinquemila anni di arte della guerra», Jim Mattis s'era meritato l'appellativo di «Mad Dog» ovvero Cane Pazzo. Il suo ringhio riecheggiava nella lapidaria frase con cui spiegava la sopravvivenza in Iraq. «Devi essere gentile, professionale, ma pronto a far fuori chiunque». Oppure quella in cui riassumeva la predisposizione a vittorie e sconfitte. «In guerra ci sono cacciatori e prede. Dipende dalla tua disciplina, obbedienza, capacità e attenzione rientrare nell'una o nell'altra categoria».

Ma una volta inghiottito dai meandri del Pentagono e della politica capì subito l'importanza di tener a bada lingua e opinioni. E per 23 mesi si chiuse in un impenetrabile silenzio dietro il quale molti intravvedevano le mediazioni di un vecchio saggio capace di evitare che un tweet partito dallo Studio Ovale degenerasse in una crisi internazionale. La sola volta in cui non si trattenne fu prima dell'attacco alla Siria dello scorso aprile quando, unico nel coro univoco formato da Theresa May , Emmanuel Macron e Donald Trump, negò l'esistenza di «prove certe» del coinvolgimento di Damasco nell'attacco chimico alle zone ribelli.

Con silenzio e pazienza cercò invece di recuperare la considerazione degli alleati europei definiti «delinquenti» da Trump alla vigilia del vertice Nato dello scorso luglio per il mancato rispetto degli accordi di spesa in campo militare. Non a caso la parte centrale della lettera di dimissioni resa pubblica ieri da Mattis ribadisce proprio l'inopportunità di quelle accuse.

«Gli Usa rimangono una nazione indispensabile per il mondo libero, ma proteggere i nostri interessi e svolgere il nostro ruolo sarà impossibile se non manterremo forti alleanze e non dimostreremo rispetto per i nostri alleati». Come dire: caro Donald, Cane Pazzo non dimentica. E morde ancora.

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