L'uomo che sparò a Togliatti e incendiò l'Italia del 1948

Aveva 98 anni ed è morto in luglio. Solo ieri diffusa la notizia. Rischiò di scatenare una guerra civile

L'uomo che sparò a Togliatti e incendiò l'Italia del 1948

È morto, alla veneranda età di 98 anni, Antonio Pallante, noto per essere stato l'autore dell'attentato contro Palmiro Togliatti, segretario del Partito comunista italiano, perpetrato a colpi di pistola il 14 luglio del 1948. La notizia del decesso dell'uomo che rischiò di far scoppiare la guerra civile in Italia è stata data solo ieri dai familiari, ma la morte dello «studente con la pistola» risale al 6 luglio del 2022 a Catania.

Ma torniamo ai fatti del 1948, quelli che rischiarono di far saltare gli equilibri di un'Italia che si stava appena svegliando dall'incubo della guerra e in cui la democrazia era fragilissima e che rendono bene l'idea del ruolo giocato da Pallante. Il Paese che esce dal conflitto si porta dietro gravissime fratture interne su cui la Carta costituzionale stende soltanto un velo parziale di concordia. L'Italia si trova posizionata su una linea di faglia molto pericolosa, quella della futura Guerra fredda. Roma è saldamente inquadrata nella sfera d'influenza degli Usa, ma vanta il partito comunista più forte d'Europa. Un Partito comunista che dismetterà, seppure con lentezza (solo il 60% delle armi venne realmente riconsegnato), il suo braccio armato, le brigate Garibaldi, e accetterà il ruolo di opposizione permanente sempre attenta agli interessi di Mosca. Nasce insomma una democrazia monca e militarmente debole, dove l'alternanza è impossibile, la tentazione della violenza politica sempre latente, e l'ingerenza straniera se non la regola, un'eccezione consumata spesso. In questo contesto, a tre mesi dalle elezioni che hanno punito il fronte popolare, Antonio Pallante, uno studente di destra dall'ideologia molto confusa, offre al Pci la carta della rivincita. I fatti sono relativamente semplici e li vedrete riassunti dal medesimo attentatore nella bella intervista sottostante, realizzata con perizia del collega Stefano Zurlo nel 2018. Togliatti usciva da Montecitorio in compagnia di Nilde Iotti, Pallante si posizionò in attesa, sparò 4 colpi con un vecchio revolver calibro 38, acquistato da un rigattiere a Catania (dopo la guerra, armi se ne trovavano ovunque). Uno andò a vuoto. Due raggiunsero la vittima all'emitorace sinistro, scheggiando le costole e lesionando i polmoni, il quarto si schiacciò contro la nuca di Togliatti non riuscendo a perforare la calotta cranica. Erano proiettili non incamiciati, a bassa penetrazione, e vecchissimi, comprati sottocosto da un armaiolo che si era premurato di aggiungere «sono ben conservati». Questo perché in tutta evidenza Pallante era un killer «fai da te», non certo il sicario mandato da qualche potere occulto per impedire le sorti magnifiche e progressive del comunismo italiano. L'Unità tuonò per mobilitare lo sciopero generale e, anche se a Botteghe Oscure non ci misero molto ad avere le idee chiare, nei cartelli delle manifestazioni si leggeva: «Uno è lo sparatore molti gli assassini». Entro il 15 tra i manifestanti erano comparsi i mitragliatori e si contarono i primi morti, anche se il compagno Stalin non aveva alcuna intenzione di far saltare gli accordi di Yalta a causa di uno studente siciliano. Cosa di cui si rese immediatamente conto Togliatti quando si riprese dal lungo intervento (condotto dal chirurgo Pietro Valdoni), poteva avere molti difetti ma non mancava sicuramente di lucidità. Diramò una serie di «State calmi» e «Non fate pazzie». A chi gli parlava dell'occupazione della prefettura di Milano pare rispondesse scocciato: «E cosa volete farci dopo averla occupata?». Secondo molti contribuì a distendere gli animi anche la vittoria di Gino Bartali al Tour de France, che fornì sciovinistica distrazione alle masse.

Quanto a Pallante, che era stato immediatamente catturato dai carabinieri di guardia a Montecitorio, venne condannato, per tentato omicidio con l'aggravante della premeditazione, a tredici anni e otto mesi di reclusione. Il 31 ottobre 1953, in appello, la pena scese a 10 anni e 8 mesi ; la Cassazione ridusse la pena a 6 anni per effetto dell'amnistia del 1953, e i pochi mesi del resto della pena vennero condonati. Trovò impiego alla Forestale e poi alla Regione Sicilia (non essendo mai stato interdetto dai pubblici uffici), e non si interessò mai più, almeno pubblicamente, di politica. Quanto al movente dell'attentato che provocò una scia di lutti e devastazioni - gli scontri causarono decine di morti e centinaia di feriti - alla fine persino l'indagine parallela del Pci (condotta da un duro come Giulio Seniga) dovette arrendersi. Pallante era un confuso studente i cui unici legami con la politica derivavano dall'essere l'oscuro presidente della sezione di Randazzo del Blocco Nazionale e dell'Unione Nazionale, una formazione fuoriuscita dal Fronte dell'Uomo Qualunque, iper populista e ispirata all'antipolitica. Nessun vero contatto con residuali forze fasciste, nessun complice. Solo odio e paura per lo stalinismo e poco senno.

A volte per incendiare un Paese ed entrare di sghembo nella

Storia, basta un arma, l'antipolitica d'accatto. E di quanto sia dannosa noi italiani ne abbiamo avuto nel corso dei decenni molti altri esempi. Quantomeno Pallante si è sempre detto pentito... Non vale per tutti i terroristi.

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