Ai più, al di fuori dei confini Usa, il nome di Joe Manchin probabilmente non dice molto. Ma, per buona parte della prima fase dell'amministrazione Biden, il senatore democratico della West Virginia è stato uno degli uomini più potenti di Capitol Hill. Quindi, d'America. Venerdì, a sorpresa, ha comunicato che non si ricandiderà nel 2024 e che «viaggerà nel Paese» per vedere se c'è la possibilità di «creare un movimento per mobilitare il centro e riunire gli americani». Un annuncio che apre una faglia nel panorama politico Usa, mai così polarizzato, che rischia di sfociare in un autentico terremoto nel voto presidenziale del prossimo anno.
Il «centro», appunto, categoria politica che solitamente in America viene declinata all'interno dei due partiti, ma che Manchin sembra volere esplorare come ipotesi autonoma. Ex governatore, 76 anni, con posizioni moderate su questioni come welfare, aborto e armi, unico Dem eletto al Congresso in uno Stato che negli ultimi anni è diventato profondamente Repubblicano (nel 2020 Trump conquistò il 68 per cento dei voti), Manchin è stato al contempo la spina nel fianco di Biden e la sua ancora di salvezza, garantendo una risicata - ma decisiva - maggioranza al Senato. Espressione di uno Stato, la West Virginia, che è il cuore dell'industria del carbone, Manchin ha condizionato pesantemente le politiche green della Casa Bianca, costringendo Biden a rallentare la corsa alla transizione energetica. Su sua spinta, dopo un braccio di ferro durissimo, quello che era il «Build Back Better Act» è poi stato approvato come «Inflation Reduction Act», divenendo una legge omnibus con minori dotazioni finanziarie in termini di sussidi e sgravi fiscali per la transizione verde. La decisione di Manchin di non ricandidarsi al Senato è per i Dem una pessima notizia. Di fatto, il partito di Biden non ha alcuna possibilità di mantenere quel seggio nel 2024, col rischio concreto che la Camera alta del Congresso passi sotto il controllo dei Repubblicani. Non a caso, Politico ha rivelato che la Casa Bianca ha tentato fino all'ultimo di convincerlo a ripresentarsi. Il disimpegno di Manchin dal Senato e la sua eventuale corsa come candidato alternativo (si parla di una possibile affiliazione col movimento «No Labels», Nessuna Etichetta), rischiano di creare un problema anche maggiore. Biden, in ritardo nei sondaggi rispetto a Donald Trump negli Stati che si annunciano come decisivi il prossimo anno, non può permettersi che l'elettorato Dem sia «distratto» da altri candidati. Nelle stesse rilevazioni che davano il presidente perdente rispetto al tycoon è già spuntato il terzo incomodo, Robert Kennedy Jr. Il nipote di JFK e figlio di Bob Kennedy, paladino dei No Vax e più vicino alla destra repubblicana che al partito di famiglia, ha fatto registrare negli «swing states» un 24 per cento di consensi tra gli elettori, rispetto al 35 di Trump e al 33 di Biden. Abbastanza, in teoria, per tenere bloccato il voto in almeno uno degli Stato decisivi, rimandando la decisione alla Camera dei rappresentanti che, con l'attuale maggioranza, assegnerebbe probabilmente la vittoria al tycoon. Ma i più realisti non credono che RFK Jr arriverà fino in fondo e ritengono che i suoi consensi siano solo una protesta passeggera contro il rematch Biden-Trump. «Basta una breve ricerca su Google per capire chi è», ha commentato acidamente il New York Times. Diverso il discorso per Manchin. «So che il nostro Paese non è così diviso come Washington vuole farci credere», ha detto.
In un'America sfiancata da anni di contrapposizioni ideologiche, che considera Biden troppo anziano e in cui Trump potrebbe arrivare al voto con una o più condanne a carico, Manchin potrebbe erodere abbastanza voti, a destra e a sinistra, per fare da ago della bilancia.
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