Mantovani assolto: la prova era falsa

Smontato il primo grado: l’intercettazione era stata trascritta male

Mantovani assolto: la prova era falsa

Milano. Doveva essere la «prova regina», quella che incastra l'imputato. E invece era inspiegabilmente una intercettazione trascritta male. Così, e anche sulla base di altri elementi, l'ex vicepresidente della Lombardia, Mario Mantovani, è passato da una condanna in primo grado a cinque anni e mezzo di carcere a una assoluzione con formula piena in Appello.

Lo si legge nelle motivazioni della sentenza con cui la Corte d'appello di Milano ha smontato la condanna del Tribunale. La frase pronunciata nell'intercettazione era, secondo i giudici di primo grado, la prova di un presunto accordo corruttivo. Ma una volta riascoltata la registrazione nel processo d'Appello, è suonata praticamente all'opposto. Mantovani nel 2015 finì anche in carcere per corruzione, concussione e turbativa d'asta. La rilettura di una delle prove principali dell'accusa ha fatto cadere la tesi secondo cui il politico «avrebbe raccomandato» l'architetto Gianluca Parotti ai «direttori generali di aziende sanitarie lombarde» per non versargli compensi su lavori di restauro «presso Villa Clerici», tra l'altro a quel tempo «non ancora eseguiti».

Il 14 marzo scorso la Corte d'appello ha assolto altre otto persone che erano prima state condannate insieme all'ex assessore regionale alla Sanità. Corte che ha confermato inoltre due assoluzioni decise già dal Tribunale, tra cui quella del ministro del Turismo ed esponente della Lega Massimo Garavaglia per una presunta turbativa d'asta. Nelle 277 pagine nelle quali i giudici presieduti da Maurizio Boselli demoliscono l'impianto accusatorio spicca quell'intercettazione del 2014 che il legale di Mantovani, l'avvocato Roberto Lassini, ha chiesto e ottenuto di risentire in aula a gennaio, ripulita da «rumori di fondo». E così le parole di Parotti che parlava con un amico, che prima erano state trascritte come «mi sta girando due lavori il capo, per i miei lavori della sua villa» sono ritornate a essere, con la certificazione della Corte, «mi sta girando due lavori il capo... primi lavori della sua vita». Con in più un «fuori cornetta» pessimista in cui diceva: «Secondo me, non prendo un ...».

Se Parotti (assolto) «non avesse pronunciato» le parole della prima trascrizione ma quelle della seconda, «come il Collegio reputa certo», risulterebbe, spiega la Corte, «ulteriormente depotenziata la valenza probatoria della frase con riferimento all'ipotizzato scambio corruttivo, disarticolando l'iter logico-motivazionale» del verdetto di primo grado. Sentenza che la Seconda sezione d'Appello ribalta anche nelle altre imputazioni, ad esempio quando scrive che non è supportata la tesi della «occultata concentrazione di interessi nella figura» di Mantovani.

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