Marino perde la testa e accusa la destra: «Torni nelle fogne»

Il sindaco vede Napolitano, poi alla Festa dell'Unità comincia a insultare Ma il conto alla rovescia ormai è partito. Si attende la relazione di Gabrielli

RomaSedici slide, un elenco di progetti; un piano per riparare i crateri che rendono le strade di Roma altrettante piste di rally; centrale unica per gli appalti. Dopo una lunga visita pomeridiana a Giorgio Napolitano, il sindaco di Roma Ignazio Marino ha provato ieri sera, dalla Festa dell'Unità capitolina, a rilanciare il suo governo della città. Ma alla fine gli saltano i nervi: «La destra torni nelle fogne da dove è venuta invece di dare lezioni di democrazia». Marino fa sapere al governo che terrà duro: «Non farò un passo indietro neanche di un millimetro perché sono stato eletto dai cittadini e andremo avanti fino al 2023». E sull'ex sindaco Alemanno affonda: «Voleva raccomandarmi due nomi (mi disse: “Non te ne ha parlato il Pd?”), i dipendenti Ama assunti illegalmente da lui vanno licenziati». Alemanno replica: «falsità», e annuncia querela.

Nel Pd si dà per scontato che il count down sia inesorabilmente partito. Sembra esserne ormai convinto anche Matteo Orfini, il presidente Pd e commissario romano che si è scontrato nei giorni scorsi con il premier proprio sul destino del sindaco: ormai le divergenze tra i due si limitano solo alla tempistica, che un Matteo (Renzi) vorrebbe più accelerata e l'altro più cauta, garantendo al primo cittadino l'onore delle armi. Ma con una deadline precisa: «Insieme abbiamo deciso di darci un punto di svolta dopo la relazione del prefetto, lì si dirà se il Comune va sciolto o no, e a quel punto discuteremo di come costruire una svolta e di come produrre un salto di qualità», ha spiegato ieri Orfini al Corriere della Sera . E dal governo gli fa eco Maria Elena Boschi: «Ci auguriamo che gli esiti della relazione non comportino lo scioglimento. Ma se emergeranno elementi il governo si prenderà la sua responsabilità».

Ma la situazione potrebbe sfuggire di mano prima: l'assessore alla Mobilità Guido Improta ha annunciato le proprie dimissioni per fine mese, dopo l'inaugurazione delle nuove fermate della Metro C. E l'assessore al Bilancio Silvia Scozzese è sulla stessa linea, dopo lo scontro con il sindaco sullo sfondamento del Patto di stabilità, e scioglierà la riserva a inizio settimana. Orfini si sta adoperando per frenare la caduta, visto che la giunta non resisterebbe un attimo se perdesse i titolari di due assessorati cruciali come quelli. Nel frattempo martedì si terrà il Consiglio dei ministri, e il decreto per commissariare il Giubileo potrebbe tornare sul tavolo.

Ieri del caso Roma ha parlato il ministro Boschi, elogiando «l'onestà» di Marino, qualità «indispensabile per chi si occupa della cosa pubblica», ma ribadendo che l'onestà da sola non basta: «I cittadini romani chiedono anche che sia gestita bene la città». E Marino «deve essere all'altezza di questa sfida - ha sottolineato Boschi - e deve essere abbastanza autorevole anche da gestire un passaggio così complicato». Solo lui, ha concluso, «può sapere se se la sente di andare avanti». Toni morbidi ma inequivocabili, che servono a offrire al sindaco la via di uscita di una scelta fatta da lui e non imposta dall'alto. Sullo sfondo intanto impazza la polemica contro la «lista di proscrizione» del Pd romano compilata dall'ex ministro Fabrizio Barca. Che è finito nel mirino dei renziani della Capitale per il retrogusto ideologico della sua analisi, pervasa dalla nostalgia per il vecchio partito-chiesa berlingueriano e dalla diffidenza per l'idea di «partito leggero» sul modello anglosassone che Renzi ha in testa.

«A furia di cercare voti, voti, voti il partito ha aperto anche alla destra Dc», si è lasciato sfuggire l'ex Pci Barca (che, ricordano i renziani, non condivise neppure la svolta di Occhetto, tanto da non iscriversi ai Ds, e che sostenne Civati contro Renzi). Suscitando l'indignazione degli ex Margherita confluiti nel Pd.

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