L'obbligo delle mascherine resta, nelle corsie ospedaliere e nelle residenze per anziani, fino al 31 dicembre. Dovranno indossarle sia i medici sia i visitatori. «Mai abbiamo pensato di non andare in questa direzione» assicura il neo ministro della Salute, Orazio Schillaci, sciogliendo le tensioni di chi, nei giorni scorsi, temeva il contrario.
In realtà, alle spalle dell'ordinanza firmata ieri, ci sono state parecchie pressioni da parte delle Regioni e un subbuglio di interventi per evitare che il governo alleggerisse troppo la mano contro l'emergenza Covid non ancora del tutto terminata. «Levare le mascherine è un rischio che non ci possiamo permettere» erano stati categorici gli Ordini dei medici. Nel momento in cui si era ipotizzato di eliminare le mascherine, la Regione Campania ne ha ribadito l'obbligo. «I livelli di contagio non marginali - è intervenuto il presidente regionale Vincenzo De Luca - obbligano alla prudenza, in modo particolare rispetto a pazienti e fasce deboli». Molto chiara anche la posizione della Regione Lombardia, dove l'assessore al Welfare, Letizia Moratti, ha spronato a seguire il parere «degli esperti della Cabina di regia epidemiologica lombarda che, oltre a essersi espressi a favore del mantenimento della mascherina in ospedali e Rsa, hanno ricordato anche l'importanza e l'efficacia delle vaccinazioni, anti-Covid e antinfluenzale, per la prevenzione delle malattie infettive, in particolare negli operatori sanitari».
Se la questione mascherine è stata archiviata mettendo d'accordo tutti, non si può dire altrettanto per il nodo dei medici e degli infermieri no vax. Reintegrati al lavoro con due mesi di anticipo. Il decreto stabilisce che da oggi il personale che non si è vaccinato potrà gradualmente tornare al lavoro. «Questo ci consente di recuperare 4mila persone che attualmente non lavorano e reinserirle in un sistema sotto-organico - spiega la premier Giorgia Meloni - La salute non si affronta con un approccio ideologico, ma con un approccio che tenga conto delle evidenze scientifiche». «Il quadro epidemiologico è mutato rispetto a quando il provvedimento era stato preso - precisa il ministro Schillaci - Oggi l'impatto sugli ospedali è limitato, diminuisce l'incidenza dei casi e anche c'è una stabilizzazione delle terapie intensive occupate. Ciò che invece resta è la grave carenza di personale, che deriva da una programmazione sbagliata negli ultimi dieci anni con il ricorso sempre più frequente di medici stranieri o dei cosiddetti medici a gettone che percepiscono emolumenti pari da 2 a 5 volte quelli percepiti dai medici che operano nel sistema sanitario nazionale». «Crediamo fortemente che rimettere a lavorare nelle nostre strutture questi operatori sanitari serva a contrastare la carenza che si registra sul territorio - spiega il ministro - questo è importante per garantire il diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della nostra Costituzione. D'accordo riparare ai buchi di personale nelle corsie del post Covid, ma la scelta crea parecchie polemiche: «Inaccettabile costringere pazienti, magari allettati, a farsi curare da personale non vaccinato - insorge il presidente campano De Luca - Sarebbe, questa sì, una forma di violenza verso i più fragili».
In realtà, smussa i ton il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici, Filippo Anelli, «si tratta di un anticipo di qualche settimana. Ma se da un lato si accelera il ritorno alla normalità, dall'altro questo non deve significare far passare il messaggio che la pandemia sia finita e che ognuno può fare quello che vuole».
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