Meloni riscrive la legge Bossi-Fini. "Entrerà soltanto chi ha un lavoro"

Sistema esistente minato dagli scandali. Serve un meccanismo a prova di truffa

Meloni riscrive la legge Bossi-Fini. "Entrerà soltanto chi ha un lavoro"
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La legge Bossi Fini è morta. E resuscitarla senza riscriverla sarà impossibile. Ad ucciderla è stata la mancanza di un sistema di controlli del meccanismo progettato dai legislatori. La carenza, amplificata dalle inefficienze o dalla corruzione degli snodi burocratici ha permesso alla criminalità organizzata di allungare le mani anche sui migranti regolari. Avete letto bene. Stavolta non si parla dei migranti irregolari traghettati sulle nostre coste dai trafficanti di uomini. O arrivati alla frontiera nord-orientale percorrendo la «rotta balcanica».

Stavolta si parla di migranti arrivati in Italia con un regolare visto assegnato grazie alle richieste presentate da aziende e privati nei famosi «click days». Quelli, per intenderci, su cui puntava il governo per combattere l'immigrazione clandestina e garantire manodopera alle aziende. Purtroppo era un'illusione.

Come già segnalava un anno fa il sottosegretario Alfredo Mantovano la Bossi-Fini del 2002 va riscritta inserendovi un rigoroso sistema di verifica. Il rilascio dei visti, infatti, era determinato, molto semplicemente, dal numero di richieste inoltrate da privati e imprese nei «click days», i giorni dell'anno in cui la richiesta di manodopera extra-comunitaria veniva incanalata sui siti del ministero dell'Interno. Ma questa semplicità unita al meccanismo di silenzio-assenso - inevitabile per l'impossibilità di verificare in tempo utile le centinaia di migliaia di domande presentate in pochi giorni (quest'anno 690mila nei «click-days» del 18, 21 e 25 marzo) - ha facilitato l'intrusione di criminalità organizzata e truffatori. La prima a denunciarlo, bloccando di fatto lo strumento «flussi» adottato dal suo esecutivo è stata la presidente del Consiglio.

Ieri Giorgia Meloni ha raccontato al Consiglio dei Ministri di aver inviato un esposto alla Direzione nazionale Antimafia e al Procuratore nazionale Giovanni Melillo. Il documento sottolinea le sconcertanti discrepanze tra le domande di visto e nulla osta presentate con i decreti flussi 2022 e 2023 e gli effettivi accessi ai posti lavoro. «I dati dimostrano - scrive la Meloni - che da alcune Regioni . (principalmente, la Campania) proviene un numero di domande di nulla osta .largamente prevalente rispetto alle altre Regioni» e «del tutto sproporzionato rispetto a quello delle imprese operanti su tali parti di territorio».

Ma ancor più sconcertante del «numero esorbitante di nulla osta» è la «minima percentuale degli stranieri» che alla fine sottoscrive un contratto di lavoro. Percentuali al minimo assoluto in Campania dove, a volte, si presenta meno del 3 per cento dei lavoratori selezionati. Una sproporzione talmente eclatante da far ipotizzare «infiltrazioni della criminalità organizzata» pronta in cambio di cifre intorno ai 15mila euro a migrante a garantire «l'accesso in Italia, per una via formalmente legale e priva di rischi, a persone che non ne avrebbero diritto». Il caso Campania da questo punto di vista è macroscopico. «La regione - si legge - esprime un numero di domande cinque volte maggiore di quelle provenienti dalla Puglia, nonostante quest'ultima abbia il doppio di imprese agricole». Discrepanze ancor più evidenti nel settore del lavoro «non stagionale». Qui le richieste di nulla osta provenienti dalla Campania «in tutti e tre gli anni del periodo 2022-2024 sono circa il triplo di quelle della Lombardia».

Questo nonostante la presenza di un numero di imprese 2,5 volte superiore, con un valore aggiunto di otto volte maggiore rispetto a quello campano. Quanto basta a far capire, insomma, la necessità di riscrivere «in toto» la Bossi-Fini per garantire sia il controllo dei visti, sia quello dei datori di lavoro.

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