La bellezza aiuta a pensare in grande. Sono tra i cosiddetti architetti illuminati. Ogni loro progetto contiene un'idea energica ed inequivocabile che nasce sempre dall'interesse per il mondo esterno, l'attitudine alla conoscenza e la connessione con la natura. I gemelli Gianluigi e Marco Giammetta architetti romani, 54 anni, sono i fondatori della società di progettazione integrata Giammetta Architet'srl. A breve uscirà il loro primo libro monografico «Punto G» che è il punto di vista dei Giammetta, ma anche il riferimento al punto del massimo piacere come dovrebbe essere l'architettura.
«L'uomo è la misura di tutte le cose, la sua universalità vive nel dettaglio, perciò anche in architettura la scala umana è fondamentale», spiega Marco Giammetta «e perché ciò possa avvenire è necessario uno sguardo globale, la suggestione delle connessioni che si riescono a creare. L'architettura ha una grande responsabilità - continua e può riprendere in mano il meccanismo di ricostruzione delle città che è deteriorato e non ha più contatto con la natura».
La buona architettura può aiutare a vivere meglio?
«L'uomo contemporaneo sta soffrendo perché si è allontanato dalla natura sotto tutti i profili: architettonico, artistico ecc. Molti quartieri periferici di Roma per esempio, negli anni 60/70 sono stati vittima della speculazione edilizia che ha creato centri cementificati che distaccano sempre di più dalla natura. L'uomo ha un bisogno innato di vedere il paesaggio e di godere del benessere dato dalla natura».
Esiste un canone architettonico del benessere?
Non ci sono canoni specifici, ma esiste il canone di ognuno: ci si evolve come si evolve l'architettura e la contemporaneità. C'è differenza tra vivere e costruire».
Qual è la responsabilità dell'architetto?
«La responsabilità è soprattutto quella di stimolare i processi culturali che si stanno perdendo finalizzati a una migliore qualità della percezione estetica dell'umano abitare. L'architettura deve riconquistare il suo ruolo centrale come uno strumento fondamentale per un concreto modello e sviluppo della città ed educare alla bellezza. La bellezza serve per portare la nostra mente a pensare a qualcosa di più grande. E non rapportarsi con la natura e la grande energia che ci circonda crea chiusura tristezza e frustrazione. Comprendere che quella è un'occasione per crescere. E se l'architetto è bravo a semplificare e farti capire la morfologia e la sintassi del linguaggio architettonico, non puoi più tornare indietro. Le persone si evolvono e con la loro casa cambiano».
La buona architettura un po' come una terapia...
«Le dinamiche di ogni realizzazione progettuale devono soddisfare l'esigenza dell'uomo. Il progetto tecnico diventa un progetto emozionale. Molti si fermano all'aspetto tecnico. Rispondono alle esigenze e alle funzionalità partendo dalla pianta».
Qualcosa che somiglia a un algoritmo, insomma.
«Ecco, noi non lo facciamo mai. Chiediamo sempre Cosa vorreste che questo spazio racconti? E cerchiamo di costruire un luogo che abbia un significato e che sia in grado di trasferire dei valori. Questi valori li mettiamo in pianta, valutiamo come si deve muovere lo spazio e diamo un valore reale. Lo spazio così diventerà sensoriale».
Come nasce un progetto?
«Il mio strumento per avvicinarmi al progetto è sempre stato il disegno a mano libera. Lo trovo ancora oggi un metodo fecondo pur essendo molto laborioso. Poi ci sono le idee che nascono nel visitare il luogo, nel parlare con i clienti».
Il malessere di oggi è legato all'ambiente?
«Anche all'ambiente, certo. Il distacco dalla natura provoca mancanza di rispetto. Se siamo inconsapevoli non sappiamo che gettare una busta di plastica per strada può generare danno».
Il
vostro sogno?«Contribuire a rendere l'architettura sempre più libera dai condizionamenti, semplificarne il linguaggio in modo che diventi comprensibile a tutti e risvegliare così in tutti il senso della bellezza».
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