Migranti, Berlino segue l'Italia: così sfuma la riforma di Dublino

La Germania critica le modifiche al regolamento sull'accoglienza. Salvini conferma il "no" italiano. Contrari anche i Paesi di Visegrad

Migranti, Berlino segue l'Italia: così sfuma la riforma di Dublino

Anche la Germania affonda la riforma del regolamento di Dublino. Ancor prima di essere discussa nell'incontro in programma oggi, dopo il "no" annunciato da Matteo Salvini a margine della sua nomina a ministro dell'Interno, ora anche Berlino si definisce "critica" sul progetto di revisione del regolamento di Dublino presentato dalla presidenza bulgara.

Attualmente, il Dublino III obbliga gli Stati di primo approdo a farsi carico dei richiedenti asilo sbarcati sulle proprie coste. La riforma, però, non risolve del tutto il problema. Anzi. Per il neoministro dell'Interno (assente all'incontro per la fiducia al governo) "le nuove politiche di asilo perché lasciano soli i Paesi del Mediterraneo, Italia Spagna, Cipro e Malta". E l'Italia, stavolta, non è da sola. "Così com'è", ha fatto sapere infatti la Germania", Berlino "non accetterà di approvarla". A dirlo è stato il segretario di Stato agli Interni tedesco, Stephan Mayer, arrivando a Lussemburgo per il Consiglio Ue Affari interni. "Sono profondamente convinto che non sia solo l'Italia a questo stadio, a opporsi alla riforma del sistema europeo di asilo - ha spiegato Mayer - le critiche vengono anche dai paesi di Visegrad e anche la Germania critica alcuni punti specifici".

In passato, anche il governo guidato da Paolo Gentiloni aveva avanzato diverse critiche al progetto bulgaro. Ma con l'arrivo al potere di Matteo Salvini e Luigi Di Maio lo stop alla revisione è cosa certa. "Invieremo una nostra delegazione per dire no - aveva detto il ministro dell'Interno nei giorni scorsi - il documento in discussione invece di aiutare penalizzerebbe ulteriormente l'Italia e i paesi del Mediterraneo facendo gli interessi dei paesi del Nord Europa".

Senza l'appoggio dell'Italia e con l'opposizione certa dei Paesi di Visegrad, la strada per l'approvazione si fa più che tortuosa. Tanto che anche il ministro alla migrazione della Svezia, Helene Fritzon, ha detto che "l'Europa ha bisogno di un'intesa sulla riforma di Dublino", ma che "con le elezioni delle destre in Europa c'è un problema per raggiungere un compromesso oggi. C'è un clima politico più duro. Non si tratta solo dell'Italia, ma anche della Slovenia". Ecco spiegata dunque la retromarcia della Germania. "Noi - ha ribadito Mayer - siamo aperti a una discussione costruttiva sulla proposta della presidenza bulgara ma allo stato attuale non la accetteremo".

La questione su Dublino non è semplice. L'Italia e Visegrad, infatti, sebbene entrambi critici alla riforma di Dublino lo sono stati da due punti di vista differenti: Roma pensa che nel documenti ci siano ancora troppi obblighi per gli Stati di primo approdo; Visegrad invece teme per l'apertura ai ricollocamenti.

I numeri intanto certificano che "nel 2017 quattro Stati membri da soli (tra i quali l'Italia, ndr) sono stati responsabili per il 77% di tutte le richieste" di asilo presentate nell'Ue. Il cfatto è che Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia sono contrarie alla parte in cui è prevista la redistribuzione obbligatoria dei rifugiati (tema su cui ovviamente i Paesi di primo arrivo sono favorevoli). Ma la proposta bulgara di mediazione non ha convinto né l'Italia (che con Salvini ha annunciato il suo no), né Visegrad. E ora, con le critiche della Germania, appare davvero difficile che si possa giungere ad un accordo in cui, tecnicamente, basterebbe la maggioranza qualificata (ma in cui si cerca l'unanimità).

Cosa prevede la proposta di riforma

Le fasi in cui è divisa la riforma di Dublino sono tre: circostanze normali, circostanze 'sfidanti' e crisi seria. In circostanze normali non succede nulla. Invece la prima sottofase della seconda fase (circostanze sfidanti) "dovrebbe iniziare automaticamente nel momento in cui uno Stato raggiunge una certa soglia della sua 'giusta quota'" di rmigranti, calcolata sulla base degli abitanti nel Paese e il Pil prodotto. Quando poi si arriva alla fase di "crisi seria", cioè quando uno Stato arriva al 120% della sua sua "giusta quota, l'allocazione volontaria (volontaria, non obbligatoria, ndr) di richiedenti asilo può essere una delle misure di sostegno che gli altri Stati membri possono decidere di fornire". In ultima istanza, però, nel caso in cui il problema del Paese sotto pressione non dovesse essere risolto con i ricollocamenti volontari, allora la Commissione può presentare una proposta di ulteriore allocazione. La clausola scatta quando uno Stato raggiunge una quota di richiedenti asilo pari al 140% la sua "quota giusta". La proposta della Commissione diventa poi operativa nel caso in cui, darante l'iter di discussione, quello stesso stato raggiunga il 160% della "giusta quota" e le ricollocazioni andranno avanti finché lo Stato non raggiungerà il 100%. Per opporsi, gli altri Stati dovrebbero votare una mozione in consiglio a maggioranza qualificata.

Ci sono però altre scappatoie.

Ogni Stato, infatti, può essere costretto a prendere in carico per un periodo di due anni non più dello 0,05% della popolazione dell'Ue all'epoca della decisione del Consiglio (cioè 223mila persone circa). Infine, sebbene sia costretto a far entrare almeno il 50% dei riallocati che le verranno assegnati, può scegliere di sostituire gli altri con rifugiati reinsediati oppure pagare tra i 25mila e i 35mila euro a persona.

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