Fine di un'intesa decennale. Il primo ministro turco Ahmet Davutoglu ha rotto con il presidente Recep Tayyip Erdogan, annunciando le proprie dimissioni da segretario generale del partito islamico «Giustizia e Sviluppo» (Akp) e di conseguenza dalla guida del governo di Ankara. L'Akp ha accolto il passo indietro del premier, organizzando un congresso-lampo per il prossimo 22 maggio: il nuovo segretario sarà poi chiamato a formare il governo.
Nelle scorse settimane le tensioni fra il capo dello Stato e il premier non erano mancate; a dividere i due soprattutto la gestione del partito e la questione dell'immunità parlamentare. I vertici dell'Akp hanno recentemente deciso di sfilare dalle mani del segretario il potere di nominare dei leader politici provinciali. Una decisione presa dopo che lo stesso Erdogan ha scelto i nuovi segretari locali: Davutoglu ha tentato di opporsi all'esautorazione ma senza successo. Da settimane, poi, l'attenzione del Parlamento monocamerale turco è concentrata sul nodo dell'immunità parlamentare: Erdogan vorrebbe portare alla sbarra i deputati dell'Hdp, il partito progressista filo-curdo particolarmente forte nel sud-est del Paese; la vicinanza dei deputati Hdp al Partito dei lavoratori curdi (Pkk), considerato un gruppo terrorista in Turchia, negli Usa e in Europa, violerebbe infatti la legge turca contro il terrorismo. Davutoglu si è opposto all'abolizione dell'immunità per i soli eletti dell'Hdp: il suo governo ha più democraticamente proposto di mandarla in soffitta per tutti i deputati. La questione è delicata e l'ultima seduta della commissione Affari costituzionali è finita in una scazzottata fra filo-curdi e islamici.
Sulla gestione della questione curda, il sultano però non ammette critiche. La rottura con il premier è apparsa inevitabile «e tuttavia i turchi non si aspettavano certo questo annuncio: per molti è stata una doccia fredda», ha commentato da Ankara Valeria Giannotta, docente di Relazioni internazionali presso la Türk Hava Kurumu Üniversitesi. Neanche la Borsa di Istanbul ha gradito il passo indietro di Davutoglu, precipitando ai minimi da due mesi a questa parte. Il quotidiano Hürriyet ha titolato «Una nuova era per l'Akp», ma si tratta di una nuova era per tutta la Turchia. Consigliere dell'allora primo ministro Erdogan già dal lontano 2003, nel 2009 Davutoglu fu promosso a ministro degli Esteri. Quando poi il sultano ha lasciato la guida del governo per la presidenza della Repubblica, Davutoglu lo ha sostituito alla guida del partito e del Paese.
Il carismatico e sanguigno Erdogan gradiva un numero due molto più scialbo di lui. Anche il premier, però, ha cominciato a crescere. «Il presidente ha dimostrato di avere il potere di allontanare non solo chi è contro lui ma anche chi è dalla sua parte», ha aggiunto Giannotta. Non è un mistero che il sultano punti a un sistema presidenziale: l'accentramento del potere è per lui la panacea contro l'instabilità, il terrorismo e la crisi economica. L'Akp non ha abbastanza voti in Parlamento per cambiare la Costituzione e sia i filo-curdi (Hdp) sia i Repubblicani (Chp) si mettono di traverso. Consapevoli che una modifica della Carta li metterebbe in fuori gioco, i due partiti hanno difeso lo stesso Davutoglu, «un politico eletto con il voto di 23,5 milioni di turchi e forzato alle dimissioni dal volere di uno solo», ha ricordato il leader del Chp, Kemal Kilicdaroglu. «Questo è un colpo di Stato», ha rincarato il leader filo-curdo Delahattin Demirtas.
Gli uomini del presidente si sono affrettati a smentire la possibilità di nuove elezioni. Ma a meno di un colpo di mano, Erdogan può ottenere una nuova Costituzione solo ottenendo un mandato più ampio dai suoi elettori e in molti sono pronti a scommettere su un imminente ricorso alle urne.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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