Non ci ha capito nulla dall'inizio, ma ha promesso a tutti un nuovo reddito d'emergenza da aggiungere al già reddito di cittadinanza. In pratica, un vitalizio non per uscire dalla crisi, ma per parcheggiarsi sulla poltrona. E poiché gli unici assembramenti consentiti sono i pensieri in libertà, il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha promesso ancora (proteggetevi da questo starnuto di miliardi): indennizzo per colf e badanti («Stiamo lavorando al protocollo»), congedo parentale («È prevista l'estensione»), bonus baby-sitter («Ci apprestiamo ad approvare»), assegno rinforzato e addizionabile al già assegno cittadino («Un assegno Da 400 a 800 euro per tre mesi»).
A leggere quanto ha finora dichiarato, il problema dell'Italia adesso è uno solo: ci sono più banconote che tamponi. Ministro per la defezione storica di Luigi Di Maio, primo disoccupato della repubblica a reggere il ministero del Lavoro, alla Catalfo si deve, secondo quanto ripetono gli attivisti del M5s, quel formidabile siero contro la povertà che prende il nome di reddito di cittadinanza: «Il reddito l'ho inventato io!». Da come è facile intuire, per Beppe Grillo è una specie di Cartesio mentre per il paese che produce (o meglio produceva prima della paralisi) è la dimostrazione che questa non è una nazione per imprenditori. Selezionatrice del personale, già candidata sindaco di Catania, città salvata dallo Stato dal default, al ministro si deve pure la proposta, momentaneamente abbandonata, di riscrivere i salari («Dobbiamo istituire un salario minimo per tutti a 9 euro l'ora»). E ovviamente prima della fase da madre della patria anche lei è passata dalla fase grillina sbalestrata, antieuropea e incendiaria: «Ho firmato per uscire dall'euro. Firma anche tu». Ma come si dice in questi casi: scordiamoci del passato. Più recentemente, in una memorabile conferenza del 16 marzo, insieme a Giuseppe Conte e al ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, ha fatto piovere sussidi un po' come ne La Casa di Carta il Professore li fa scivolare dal dirigibile. La Catalfo è stata l'unica a credere nel dl aprile che come ormai si sa arriverà a maggio, ma che nella testa del ministro non solo è partito ma addirittura è già stato prorogato: «Ci apprestiamo a prorogare». Sbaglierebbe chi pensa che il meglio lo esprima nelle conferenze e nelle interviste che rilascia. Non è cosi. La competenza del ministro si continua a riversare nella ricerca e nell'istituzione di nuove forme assistenziali.
Solo dopo la protesta disperata di Confagricoltura («Servono braccia per i campi») ha aperto alla possibilità (e si dice possibilità) di mandare i percettori del reddito di cittadinanza a lavorare: «Buona idea». Non contenta della sua prima opera - il vero talento si vede sempre nella seconda - la Catalfo ha brevettato l'ancora mai testato reddito di emergenza: «Tre miliardi destinati a una platea di tre milioni di persone». È finita, come si dice in questi casi, «a quarantotto» anche per il prezioso aiuto del suo compagno d'armi, Pasquale Tridico, presidente dell'Inps. Ma i milioni della Catalfo non sono finiti. «Agli ammortizzatori sociali 15 miliardi» e l'annuncio: «Nessun licenziamento per tre mesi» e poi «siamo certi che nessuno perderà il lavoro».
Dispiace dirlo, e si vorrebbe davvero essere in torto, ma i miliardi saranno pure un «atto d'amore», come quello che Conte chiede alle banche, ma sono più virtuali dei vecchi bitcoin. Come ministro ha un solo merito: non ha mai parlato di lavoro e nessuno hai mai avuto cosi tanta voglia di lavorare.
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