La moglie di Bossetti: «I carabinieri si facevano i selfie con il presunto killer»

Un filo di trucco che non riesce a coprire la tensione del volto. L'imbarazzo, la consapevolezza di sapere che per molti lei è la moglie del «mostro». Marita Comi, davanti alle telecamere di Matrix (in onda ieri sera su Canale 5), sa di essere stesa su un «letto di chiodi». Non facile affrontare le domande in presa diretta, dopo gli interrogatori pressanti. Camicia bianca contrappuntata di pizzo nero, jeans, la moglie di Massimo Bossetti, il muratore di Mapello accusato dell'omicidio di Yara, risulta meno appariscente di quanto sia. O di quanto almeno risultasse prima dell'inizio dell'incubo. Su di lei da dietro le quinte vegliano gli avvocati difensori di suo marito. Ma Marita stavolta è chiamata a rispondere da sola. La voce è chiara, pacata, ma decisa. Pretende di poter proteggere solo la sua «vita privata», quella dei figli.

Non mostra dubbi. Quasi granitica. «Massimo con questa storia non c'entra nulla, è innocente. Il vero assassino è ancora in giro», attacca. La sua è una difesa ad oltranza.

Di fronte alle ipotesi dell'accusa, di quegli indizi che per pm e gip di Bergamo, dimostrerebbero la colpevolezza del quarantaquattrenne dagli «occhi di ghiaccio», lei ribatte con spiegazioni tanto semplici quanto oggettivamente empiriche. I viaggi di Massimo a Brembate? «Tutto normale. In quel paese ci è nato, lì c'è il suo barbiere, il suo commercialista, il fratello. E soprattutto è la strada più rapida per tornare a casa. La faccio spesso anch'io».

E alla famiglia della vittima: «Sono madre, capisco il loro dolore. Ma il colpevole ripeto non è mio marito». Ricorda di nuovo la sera del 16 giugno, il momento dell'arresto. Quasi surreale nelle suoi drammatici incroci. Marita non può scordare. «Ascoltavo i titoli di apertura del tg, Studio aperto. Ho fatto appena in tempo a sentire che avevano preso l'assassino di Yara.. Mi sono detta: “meno male” che ecco suonare alla porta. Erano i carabinieri. Mi hanno detto: “Suo marito è ignoto 1”».

Il resto è storia nota. Tranne qualche particolare che in qualche modo scompone il quadro dipinto dalla Procura bergamasca. A cominciare dal fogliettino trovato a Bossetti e sui erano annotati nomi di donne con accanto numeri. Ma non di telefono come sospettavano gli investigatori: si tratterebbe di codici pin e e conti bancari o ricevute che il muratore criptava in caso di smarrimento di tessere o documenti. «Ne aveva preparato uno simile anche a me», spiega Marita, mostrandolo alle telecamere. Poi un affondo, stavolta nei confronti dei carabinieri. «La sera in cui lo hanno portato in carcere si sono messi in fila per farsi dei selfie accanto a lui».

Insomma un triste «trofeo» da esibire. Sul suo passato, e presente, sentimentale Marita Comi, preferisce svicolare. «Se ho avuto amanti? Non ritengo sia utile per le indagini». Ma insiste sull'amore verso l'uomo che da 100 giorni è rinchiuso in isolamento.

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