Muore in India la climber gardenese Lardschneider

Tre settimane per scalare le pareti che aveva sempre sognato, pochi secondi per chiudere per sempre gli occhi sulla roccia calda del Ladakh

Muore in India la climber gardenese Lardschneider
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Tre settimane per scalare le pareti che aveva sempre sognato, pochi secondi per chiudere per sempre gli occhi sulla roccia calda del Ladakh. Elizabeth Lardschneider è morta così, ieri mattina, precipitando per oltre 150 metri da una delle pareti che stava scalando per allenarsi, insieme ad altri sette amici.

Erano arrivati da una ventina di giorni in Himalaya, lato indiano, lungo il corso del fiume Zanskar che da il nome ad una valle che i climber di ogni bravura ed età conoscono molto bene. Fra loro anche Lizzy la gardenese, che dell'arrampicata sportiva era una promessa ed ora che la disciplina era anche stata promossa ai giochi olimpici, con il debutto a Tokyo 2021, chissà, un pensierino a Parigi 2024, fra un anno esatto, avrebbe anche potuto farlo, dall'alto dei suoi pochissimi 20 anni. Con la maglia della nazionale giovanile aveva vinto i campionati Italiani e aveva ottenuto diversi podi a livello continentale nella disciplina Lead, che consiste nel superare parerti di difficoltà progressiva. Veniva da Ortisei, terra di grandi campioni di sport invernali: Isolde, Carolina Kostner e i Senoner, le sorelle Delago, Alex Vinatzer. Neve e ghiaccio. Passato e presente dell'olimpo e delle glorie sportive. Elizabeth poteva esserne il futuro: ormai dava del tu a pareti da 8b di difficoltà. Come tutti gli amanti della montagna aveva sognato un viaggio in Himalaya, ma non quello di vette, cime, campi basi scomodi ed ipossia. No, lei sognava quello di parete calde e verticali, mozzafiato sì, ma non per la quota, bensì per vertigine di bellezza. Roccia leggendaria, vie ardite, da romanzo di formazione. «Lo scorso anno era già stata in Kirghizistan sul pic Odessa perché abbinare i viaggi all'arrampicata era la sua più grande passione» ricordano gli amici. La Usc di Ladins, il settimanale gardenese in lingua ladina è stato fra i primi a battere la notizia: secca, inaccettabile, dolorosissima. Elizabeth era una di loro. Scuole in paese, liceo scientifico a Merano, nel suo futuro potevano esserci l'agonismo e certamente anche l'ambizione di un risultato - ma soprattutto l'impegno. Bionda, tenace, serissima e sorridente, molto attiva nel club alpino sudtirolese, l'Alpenverein, avrebbe potuto frequentare era una dei suoi progetti - i corsi per entrare nei catores di val Gardena, arrampicatori audaci ed eleganti come la coturnice da cui prendono il nome - che hanno fatto la storia in Alto Adige. Dopo l'epopea dei Malsiner, dei Gluck, dei Moroder, anche ragazze giovanissime come lei. Nei nei scorsi aveva lavorato in una palestra di arrampicata di Bressanone.

Via whatsapp gli amici sono riusciti solo a comunicare che Elizabeth sarebbe morta sul colpo; l'ambasciata italiana si è attivata per il supporto, mentre il sindaco di Ortisei Tobia Moroder parla di «grande sgomento» dopo che pochi giorni fa un altro climber gardenese Mattia Amort, è morto scalando la via Rizzi nel gruppo del Catinaccio, in val di Fassa.

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