Il Partito Democratico ha costruito una filiera tutta sua nella Difesa. Negli anni, i Dem hanno dismesso gli abiti del neutralismo, occupando in maniera scientifica scranni e posizioni nelle istituzioni e negli enti affini che contano per il settore. Oggi si fa un gran parlare di aumento della spesa militare e diviene utile mappare i pesi ed i contrappesi partitici rispetto all'ambito. L'elenco è lungo. Francesco Saverio Garofani, per volere del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, siede come segretario nel Consiglio supremo di difesa. Prima dell'incarico istituzionale, che di solito spetta ad un militare, Garofani è stato eletto parlamentare con il centrosinistra per tre legislature. Si direbbe un'eccezione. Il segretario conosce il capo dello Stato sin dai tempi del Partito popolare e della direzione de Il Popolo, organo di riferimento del Ppi. Lo stesso ministro della Difesa è del Pd: Lorenzo Guerini è considerato il più influente tra i capi di Dicastero piddini. Roberta Pinotti, ex inquilina di via Venti Settembre, presiede la commissione Difesa del Senato e, insieme all'on. Luca Lotti, fa parte della Delegazione parlamentare italiana presso l'Assemblea parlamentare della Nato. Basterebbe questa breve lista per segnalare quanta influenza abbia la formazione politica guidata da Enrico Letta sul da farsi, in Parlamento e nell'esecutivo, con la percentuale destinata alla spesa militare. Questo però è un accenno di quello che assomiglia ad un monopolio. Tra gli onorevoli più attivi in materia, troviamo Alberto Pagani, capogruppo del Pd nella commissione dedicata, ed Enrico Borghi che si occupa più d'intelligence. Passiamo a quello che in gergo verrebbe definito «sottobosco».
L'amministratore delegato di Difesa e Servizi è Pier Fausto Recchia, già deputato del Pd nonché ex consigliere dell'ex ministro Pinotti. Il direttore generale dell'Agenzia Industrie Difesa è l'ex senatore Nicola Latorre, che è stato individuato per la carica da Guerini e che era considerato un dalemiano doc ai tempi dei Democratici di sinistra. Andrea Manciulli, ex parlamentare del partito che ha sede al Nazareno, è passato dalla presidenza della Fondazione Fincantieri e dalla vicepresidenza di Fincantieri, dove si occupava anche dei rapporti con la Nato, a Leonardo. Il presidente della Fondazione Leonardo è Luciano Violante, ex presidente della Camera in quota Ds che è poi transitato nei Dem. Il vertice della Fondazione Med-Or di Leonardo - ente nato circa un anno fa - è l'ex ministro dell'Interno Marco Minniti. L'amministratore delegato di Leonardo, ancora, è il banchiere Alessandro Profumo, ex presidente del Monte dei Paschi di Siena ed ex amministratore delegato di Unicredit. Profumo, in passato, ha dichiarato di aver votato per le primarie piddine. La percezione, nei palazzi della rappresentanza politica e non solo, è che il disegno sia sistemico: «L'occupazione da parte delle sinistre dei settori strategici della nazione, da quelli fondamentali come la Difesa, fino a quelli minori, non è né un capriccio né una smania irrefrenabile di potere, ma risiede nel loro Dna gramsciano», dice al Giornale il senatore di Forza Italia Enrico Aimi. «Come le anguille che in modo misterioso raggiungono il Mar dei Sargassi, se militi dal punto di vista politico a sinistra, sai che l'occupazione delle casematte del potere - come le chiamava il presidente Silvio Berlusconi - è un fatto di costituzione cromosomica», aggiunge l'esponente di Fi. Un deputato della commissione Difesa ne fa pure una questione di riciclaggio politico: «Da tempo la Difesa è diventata il dopo lavoro di chi è stato parlamentare Pd».
Poi un passaggio sul leader Maximo: «Non stupisce la disinvoltura di Massimo D'Alema nel millantare o meno conoscenze in quel settore così delicato. Si occupano d'industria ma poco di personale». Se il pacifismo di piazza è ormai un lontano ricordo idealistico, la realtà racconta una colonizzazione fondata su quelli che, sempre Gramsci, chiamava gangli.
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