Il nostro Natale a capo chino per la paura del terrorismo

Il nostro Natale a capo chino per la paura del terrorismo

Tre giorni fa in aeroporto, non importa quale, c'era un'atmosfera insolita. La gente sembrava diversa. Di certo ci muovevamo in un modo diverso. A scatti, guardinghi, un poco curvi. Le famigliole, di solito impegnate a tenere raccolti i bambini («Francesco, non ti allontanare!!!»), avanzavano in gruppo stretto, vicini vicini. Anche la mia. Pochi si fermavano a curiosare nei negozi, e tutti camminavano con una fretta nuova, non quella di chi vuole arrivare per tempo all'imbarco, ma quella di chi ha timore di sostare. Disponendo con efficienza nervosa borse e cappotti sul nastro del metal detector, si controllavano i vicini anche più dei controllori: i quali sembravano rigidi al pari dei soldati di Giusti in Sant'Ambrogio. Avevamo tutti paura.

Lo stesso era l'altro ieri per le strade di Milano. Non si sapeva ancora che il killer di Berlino un uomo capace di passare con un camion sui corpi di altri uomini, vivi e sconosciuti era fra noi, con una pistola a portata di mano.

Diciamocelo senza tanta enfasi, e raccontiamoci per come davvero ci sentiamo: come conigli selvatici il giorno dell'apertura della caccia. Selvatici perché adesso per noi, anche nelle situazioni più normali, il primo istinto è mettersi in salvo, al sicuro, pensare a salvare la pelle. Volevano che avessimo paura e ci sono riusciti. Si ha un bel dire no, non dobbiamo avere paura. Ce l'abbiamo perché è umano - ovvero animalesco - che sia così. La vittoria del terrorismo è farci sentire conigli dietro un cespuglio persino quando andiamo a spasso e al cinema, quando facciamo la spesa e portiamo i figli a scuola.

L'esempio del coniglio non è casuale, come non è casuale che sempre più spesso si scelga di rinunciare ai propri simboli, alle proprie tradizioni, ai propri gusti. «Non facciamo il presepe per non offendere altre culture, altre religioni», si sente dire, ma non è vero. Cominciamo a guardarci in faccia, prima ancora che circospetti l'uno verso l'altro: non è rispetto, è paura. E non è la paura che salva il coniglio, perché non commuove il cacciatore. Anzi.

La nostra paura quotidiana ha anche un altro effetto devastante.

Viene percepita da chi governa, e chi governa chiunque sia - si adegua al sentire popolare, nelle decisioni economiche, sociali, di politica internazionale. È un atteggiamento più pericoloso dei camion, dei fucili automatici, delle bombe, delle asce e dei coltelli usati per scannarci.

@GBGuerri

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica