La notte prima degli esami più strani di sempre

Da oggi la maturità della "generazione interrotta". Maschere e distanze, ma i riti resistono

La notte prima degli esami più strani di sempre

«La matematica non sarà mai il mio mestiere», cantava il poeta. Oddio, poeta. Antonello Venditti da Roma, di professione cantautore, che alla notte prima degli esami ha dedicato una canzone di quelle che diventano slogan, manifesto esistenziale, polpettone generazionale ravvivato da un film di discreto successo uscito nel 2006 ma ambientato in quegli anni Ottanta in cui fu inciso il brano. Un incubo melodico alla carbonara che anche i giovani di oggi hanno fatto loro, che poi magari loro su Spotify ascoltano Gazelle o i Pinguini Tattici Nucleari.

E così mia figlia Agnese ieri sera, alla vigilia del primo giorno della maturità, è andata davanti al suo liceo, il Terenzio Mamiani di Roma, zona Prati, a cantare a sbranatonsille con tutti i suoi colleghi «Notte prima degli esami», come da rituale tramandato di classe in classe, di generazione in generazione. Ore 22,30, che tanto mica si dorme, tutti ben distanziati, almeno si spera. Di tutti la più agitata sarà stata certamente Asia, che oggi è la prima: è uscita la lettera F e quindi tocca a lei per destino e cognome.

«Stasera al solito posto, la luna sembra strana». Strana è questa maturità della generazione interrotta, senza scritti ma con tesina inoltrata via mail e con il plexiglas, un solo testimone portato dal candidato. Per dire, mia figlia non ha scelto né la madre né me, ma l'amico Davide, sempre sia lodato. La pandemia costringe a fare scelte dure e il genitore ingoia quel che resta dell'orgoglio e si consola pensando di aver fatto uno zero a zero emotivo.

«Come i pini di Roma, la vita non li spezza». Non li spezza niente questi giovani resilienti (si dice così di tutto, no, adesso?) che hanno dovuto rinunciare a quasi tutto l'armamentario liturgico del maturando, i cento giorni coi soldi elemosinati per le strade del quartiere, l'ultimo giorno di scuola tra abbracci e gavettoni, il pissi pissi bau bau sul tema di italiano che poi non è mai quello che ti ha spifferato l'amico che ha lo zio che lavora al ministero, ma che insistono a vivere il rito di passaggio come se nulla fosse, e del resto che devono fare? L'emozione non è meno emozionante, il caffè bevuto a caraffe non meno amaro. In fondo tra venticinque anni racconteranno ai loro amici di essere quelli che hanno fatto la maturità della pandemia, i sopravvissuti ad Aristofane, a Cartesio, a Giolitti e al Covid-diciannove.

«Tuo padre sembra Dante e tuo fratello Ariosto». In rete ci sono i soliti consigli sbadati, la playlist per rilassarsi (Debussy e Chopin) e quella per energizzarsi (i Queen, Bon Jovi e Ed Sheeran, con quella «d» eufonica messa a vanvera), i non-studiate-l'ultimo-giorno (ma chi ci riesce?), i dormite-tanto (ma chi ci riesce?), i bevete-tisane (quello si riesce ma tanto è inutile).

«Notte di lacrime e preghiere».

Lacrime e preghiere, che altro? Belli loro, belli tutti, i giovani che da oggi finiscono un pezzo della loro vita con la mascherina tatuata in faccia, reduci due volte, sul trampolino di una vita che ora ci appare meno sicura e meno bella, ma per loro bella lo sarà comunque, perché di notte prima degli esami ce n'è soltanto una (salvo eccezioni) e ciascuno di loro ha il diritto assoluto di sentirsi al centro di questo mondo, anche se impaurito. «Ma questa notte è ancora nostra». Tutta loro, oggi.

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