Olimpiadi, la procura sfida il governo

I pm milanesi ricorrono alla Consulta contro il decreto che ha sbloccato le opere

Olimpiadi, la procura sfida il governo
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Le Olimpiadi invernali 2026 sono un'opera pubblica di interesse nazionale, finanziata con soldi pubblici e gestita da manager pubblici: e il tentativo del governo Meloni di sottrarle «per un obiettivo non chiaro» al controllo della magistratura è una «interferenza indebita» che viola la Costituzione. È questa la tesi che porta la Procura di Milano ad aprire un nuovo fronte dello scontro tra magistratura e politica: il teatro questa volta sono i Giochi invernali, assegnati a Milano e Cortina, e oggetto da oltre un anno delle indagini dei pm guidati da Marcello Viola (nella foto).

A stoppare le indagini, era arrivato nel giugno scorso un decreto del governo Meloni, che attribuiva alla Fondazione Milano Cortina 2026 la natura di azienda privata, e la liberava così dai lacci delle norme su appalti e assunzioni. Ma la Procura milanese non ci sta e chiede alla Corte costituzionale di azzerare quel decreto. Che non avrebbe «alcuna plausibile giustificazione se non quella del tutto arbitraria di aggirare surrettiziamente le disposizioni comunitarie per non applicare alla fondazione lo statuto e la disciplina propri dell'organismo di diritto pubblico». L'anno scorso i pm lo avevano definito «un decreto di gravità inaudita».

La richiesta di mandare tutto alla Corte costituzionale è stata firmata dai pm milanesi a conclusione dell'inchiesta che vede indagati l'ex amministratore delegato della Fondazione, Vincenzo Novari, e altre sei persone accusate di turbativa d'asta per gli appalti delle Olimpiadi. Sotto la lente dei pm ci sono gli incarichi per il cosiddetto «ecosistema digitale» dei Giochi, andati senza gara prima alla società Vetrija e poi alla Deloitte. I pm sono convinti di avere accertato sia i rapporti di favore tra la Fondazione e le aziende, sia la scarsa qualità dei servizi offerti: uno dei capitoli dell'indagine si intitola (citando le intercettazioni) «sono dei cioccolatai sta gente», riferito a Deloitte, «non oso immaginare ai Giochi cosa succederà». Ma gli investigatori della Guardia di finanza sono andati più in là, portando a galla le assunzioni di favore compiute dalla Fondazione e anche il dissesto economico destinato a ricadere sugli enti pubblici: dissesto che la Procura quantifica al dicembre 2023 in 107,8 milioni. Una intervista del presidente del Coni Giovanni Malagò alla Rai è per i pm la conferma che alla fine il «buco» ricadrà sui cittadini: prova ulteriore, per la Procura, della natura pubblica della Fondazione (che ha trai suoi soci principali le regioni Lombardia e Veneto e i comuni di Milano e Cortina d'Ampezzo).

Il decreto della Meloni, riconoscono i pm, porterebbe inevitabilmente alla richiesta di archiviazione: ma quel decreto è incostituzionale. Produce infatti una «ingiustificata disparità di trattamento tra la situazione della Fondazione ed altri enti ad essa equiparabili», e «si presta a inevitabili censure di irrazionalità, incongruità ed intrinseca contraddittorietà con la normativa comunitaria». Ancora: «Considerare la fondazione alla stregua di un ente di diritto privato equivarrebbe a nascondere la vera sostanziale natura di un ente che per la missione di cui è investito in nulla si differenzia rispetto a ogni altro organismo di diritto pubblico». A questa conclusione i pm Alessandro Gobbis e Francesco Cajani arrivano anche sulla base di un parere del febbraio scorso dell'Anac, l'authority anticorruzione, secondo cui «la Fondazione è configurabile come organismo di diritto pubblico».

Il decreto «oltre ad interferire indebitamente con altri poteri dello Stato (in primo luogo quello giudiziario), realizza, in nome dell'obiettivo (ad oggi invero non chiaro) che si prefigge di perseguire, un sacrificio sproporzionato di principi ed interessi di rango costituzionale». La parola passa al gip, e poi forse alla Corte costituzionale.

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