Ora l'Iran accusa i sauditi: "Sono come l'Isis, vendetta"

Escalation tra Ryad e Teheran dopo l'uccisione dell'imam. L'Arabia rompe le relazioni diplomatiche

Nelle intenzioni era una spregiudicata ostentazione di forza. Nella realtà l'esecuzione dell'ayatollah e dissidente sciita Nimr al Nimr, mandato al patibolo venerdì scorso con tre correligionari e 43 sospetti alqaidisti, rivela la debolezza di un regno saudita isolato, privo di guida e sempre più diviso. Un regno affidato da gennaio alle mani tremanti di un re Salman bin Abdul-Aziz Al Saud costretto, nei rari momenti di lucidità concessigli dal Parkinson, ad affidarsi al boia per dimostrare la propria autorevolezza. Ma stavolta i calcoli del malandato sovrano, o dei suoi consiglieri, appaiono corti quanto il suo respiro. Anche perché quelle esecuzioni sembrano l'ennesima rivalsa nei confronti del principe Ahmed Bin Abdul Aziz, l'ex ministro dell'Interno rimosso a marzo perché troppo disponibile con la dissidenza interna. Un principe su cui molti dentro la stessa corte conterebbero per sostituire il malconcio Salman e tagliar fuori sia il nipote Mohammed bin Nayef, già designato suo successore, sia il figlio 30enne Mohammed Bin Salman nominato vice principe ereditario. Se a casa son guai fuori non tira aria migliore visto che Re Salman deve, in queste ore, far i conti sia con le critiche di alleati come gli Stati Uniti, sia con le minacce dei nemici capitanati dall'Iran dell'Ayatollah Ali Khamenei, con cui lo scontro ha subito un'escalation di ora in ora, sfociato ieri sera nella decisione di Ryad di rompere le relazioni diplomatiche con l'Iran. Lo ha annunciato in tv il ministro degli esteri saudita Adel al-Jubair, precisando che i diplomatici di Teheran devono lasciare l'Arabia Saudita e che hanno 48 ore di tempo per farlo. E questa è solo la punta dell'iceberg. Più sotto covano sia il rischio di una rivolta sciita, ovvero di tre milioni di fedeli concentratati nelle zone di maggior produzione petrolifera del regno, sia la minaccia di una congiura di famiglia per mettere alla porta, dopo appena dodici mesi di regno, un sovrano manifestamente inadeguato.

Ma per comprendere isolamento dell'Arabia Saudita conviene partire da Washington. Lì un imbarazzato comunicato del Dipartimento di Stato ricorda sia «le preoccupazioni espresse più volte riguardo le procedure legali» adottate dal paese alleato sia le preoccupazioni espresse ripetutamente «ai più alti esponenti del governo saudita». Insomma mentre in Iran i dimostranti assaltano la rappresentanza saudita, con un atto che ricorda l'assedio all'ambasciata americana del 1979, Washington sembra molto più preoccupata per le conseguenze delle brutali esecuzioni di venerdì. Esecuzioni che rischiano non solo di alimentare lo scontro con Iran, Iraq e Siria trasformando il Medio Oriente in un immensa fucina di guerra, ma anche di garantire ulteriore spazio d'azione allo Stato Islamico. Per capire che aria tiri in quella Repubblica Islamica portabandiera degli sciiti basta un'occhiata al sito della suprema Guida Alì Khamenei. Un sito dominato dall'immagine smezzata di un boia in «jalabiyah»pronto a calare una scimitarra sul collo di un condannato inginocchiato ai suoi piedi. Un condannato che, nella metà destra, veste invece una tuta arancione e attende il colpo alla gola sferratogli da un militante dello Stato Islamico con un coltellaccio in pugno. Il tutto dominato dalla domanda «C'è differenza?». Ma la sfida di Khamenei non si ferma qui. Intervenendo di persona la Suprema Guida invoca la «vendetta divina» per l'esecuzione di un ayatollah che si era limitato ad esprimere «pubbliche critiche» e non aveva «né invitato i fedeli a prendere le armi, né partecipato a oscure cospirazioni». All'esecrazione di Khamenei fanno da contraltare le parole pacate del presidente iraniano Hassan Rouhani, che dopo aver condannato i sauditi per l'esecuzione di Al Nimr, definisce «estremisti colpevoli di atti ingiustificabili» anche i 400 dimostranti iraniani responsabili dell'assalto di sabato e all'ambasciata saudita di Teheran. Parole che ben difficilmente riusciranno a sedare il clima di violenza settaria innescato dall'uccisione dell'ayatollah Al Nimr. Anche perché la guerra tra sunniti e sciiti già si combatte in Siria, nell'Iraq settentrionale e nello Yemen. Ma proprio lo Yemen e la guerra alle tribù Houti, vicine alla fede sciita e a Teheran, rischia di rivelarsi un pericoloso boomerang per il sovrano saudita. Quella guerra, costata fin qui più di 6 miliardi di dollari al mese ed affidata al figlio Mohammed Bin Salman, è considerata da parte della stessa corte saudita un salasso inutile quanto dispendioso.

Un salasso che contribuisce al deficit da oltre 87 miliardi registrato nel primo anno di regno di re Salman alimentando l'ostilità per un sovrano accusato anche di aver deviato dalla rigorosa osservanza wahabita avvicinandosi alla Fratellanza Musulmana.

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