Gli orrori senza bandiera del conflitto. Soldati russi gambizzati dagli ucraini

"Le rivoluzioni - ricordava sempre Mao Tze Tung - non sono mai un pranzo di gala". E le guerre tantomeno

Gli orrori senza bandiera del conflitto. Soldati russi gambizzati dagli ucraini

«Le rivoluzioni - ricordava sempre Mao Tze Tung - non sono mai un pranzo di gala». E le guerre tantomeno. Per capirlo basta guardare il video, pubblicato in Europa dal quotidiano tedesco Bild. In quel filmato si vedono prima una decina di soldati russi a terra sanguinanti e doloranti e poi gli spari di kalashnikov alle gambe di tre loro compagni appena tirati giù da un pullmino. Insomma una gambizzazione di gruppo intesa come punizione sommaria di un'unità di ricognizione russa catturata sul campo di battaglia e sospettata di volersi infiltrare dietro le linee.

Il video, girato nei dintorni di Kharkiv, la città a soli 30 chilometri dal confine russo assediata da oltre un mese, è un vero pugno nello stomaco. Ma quel video terribile ha, seppure nella sua brutalità, un aspetto istruttivo. Aiuta infatti a comprendere l'orrore della guerra. E, soprattutto, gli orrori di un conflitto come quello dell'Ucraina su cui aleggia una vasta nebbia propagandistica capace di coprire, confondere o cancellare i comportamenti dell'una o dell'altra parte. Ridimensiona soprattutto le convinzioni o le illusioni di chi è convinto che in quella guerra i cattivi siano sempre e solo i soldati russi contrapposti ad una forza militare ucraina rappresentata come un'esemplare forza del bene. In termini politici forse è così, ma sul campo di battaglia la verità non è mai cosi lineare. La guerra, come insegnano i terribili bombardamenti di Dresda della Seconda Guerra Mondiale, si vincono anche incutendo paura e terrore negli avversari. E questo in Ucraina avviene probabilmente da entrambe le parti. Ovviamente la massiccia dose di propaganda, generata anche con l'appoggio degli esperti di «psy ops» (operazioni psicologiche) della Nato, spinge a percepire il governo di Volodymyr Zelensky come la parte più debole trasformandolo, nell'immaginario collettivo, in una sorta di piccolo Davide in lotta contro un cattivo e prepotente Golia. Ma queste certezze hanno ben poco a vedere con gli orrori di un conflitto che contrappone due popoli convissuti, fino al 1991, nello spazio comune dell'Unione Sovietica. E non ci fanno percepire l'odio reciproco creatosi dopo il 2014 quando la popolazione di origine ucraina e quella di lingua russa hanno incominciato a immaginarsi come fazioni contrapposte e nemiche. Ma la realtà del campo di battaglia contrasta anche con l'abitudine, diffusasi nell'ultimo mese, di contrapporre all'autoritarismo di Vladimir Putin un regime di Kiev descritto come esempio di democrazia e libertà. In questo corretto, ma assai euforico, sostegno al più debole molti ignorano, o sottovalutano, le restrizioni alla libertà di espressione imposte da Kiev dopo l'inizio della guerra. Il 20 marzo scorso, ad esempio, il «Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa dell'Ucraina» ha inasprito le regole già stringenti della legge marziale in vigore vietando qualsiasi attività ad 11 partiti politici accusati di sostenere la minoranza russofona. E ad annunciare la decisione ci ha pensato lo stesso Zelensky spiegando che «le attività di chi punta alla divisione o alla collusione» riceveranno «una dura risposta». «Oggi a Kiev e nelle altre città la nostra gente vive nel terrore o in prigionia - dichiara a il Giornale Mikola Azarov, ultimo premier filo russo dell'Ucraina durante il mandato di Viktor Yanukovych».

«La legge marziale viene usata per sbattere in galera giornalisti, rappresentanti dei diritti umani e chiunque si opponga a Zelensky - continua Azarov - Elena Berezhnaya, una nostra storica rappresentante dei diritti umani accreditata presso Onu e Osce è in carcere dal 16 marzo senza neppure il diritto ad un avvocato di fiducia. E lo stesso succede a giornalisti come Dmitry Dzhangirov e Anna German. In Europa vi siete scordati che la giustizia non sta mai da una parte sola».

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