Un McDonald's in Pushkin Square, nel centro di Mosca, come simbolo della «violazione delle libertà dei russi». Lo ha usato Luka Zatravkin, figlio del pittore Nikas Safronov insignito del titolo di artista emerito dalla Federazione Russa. Il giovane pianista, 31 anni, taglia extralarge forse anche per la passione per patatine e hambuger (qualche anno fa rimase chiuso nella toilette di un aereo), è stato arrestato dalla polizia dopo essersi ammanettato all'ingresso del primo McDonald's di Russia, chiuso dalla multinazionale americana come risposta alla Russia «per le insensate sofferenze umane causate all'Ucraina». Prima del gesto, Luka aveva lasciato un messaggio pro-democrazia su Telegram, scegliendo gli hamburger come icona: «Perché parlo prima di McDonald's? Perché fu la prima boccata di aria fresca nel 1990». Un McBurger come emblema. Ma il pianista è stato immediatamente portato in caserma. Ed era in buona compagnia. Perché ieri, secondo l'organizzazione per i diritti umani Ovd-Info sono stati almeno 866 gli arresti alle manifestazioni contro la guerra in Ucraina, promosse dal carcere da Alexey Navalny, il nemico politico numero uno di Putin, nonostante la repressione imposta dal Cremlino. Oltre 400 solamente a Mosca, dopo le proteste scattate alle 14, come aveva chiesto Navalny, nella piazza principale di almeno 37 città russe, da Mosca a Khabarovsk, da San Pietroburgo a Novosibirsk. Ma il conto finale cresce di ora in ora e rischia di sfiorare quota mille.
La nuova stretta contro i pacifisti russi è arrivata appena poche ore prima del blocco a Instagram, uno dei social usato da Navalny per chiamare i concittadini alla protesta e da oggi silenziato del tutto dalle autorità russe, che con Facebook e Whatsapp lo considerano ormai «organizzazione estremista». Lo stop è scattato dalla mezzanotte, un altro segnale che la cortina del silenzio sulle verità della guerra scomode a Mosca sta scendendo implacabile sui russi. Un bavaglio contro chiunque parli di conflitto e lo contesti, come ormai vuole la legge che prevede fino a 15 anni di carcere per la diffusione di «fake news» sulle forze armate.
Dal Cremlino anche ieri è arrivato il chiaro segnale che il pugno duro sarà applicato ancora. Molti attivisti denunciano di essere stati fermati ancora prima di poter raggiungere la manifestazione. Centinaia di altri, inclusi civili neppure coinvolti nelle proteste, raccontano di essere stati perquisiti per il solo sospetto di voler partecipare alle proteste: telefoni cellulari passati al setaccio dagli agenti, che hanno controllato messaggi, profili social e foto, mentre sugli elmetti gli agenti esibivano la Z, lettera simbolo dell'invasione russa e del suo apprezzamento. E mentre in Ucraina il reporter Brent Renaud, ex collaboratore del New York Times, veniva ucciso a un checkpoint a Irpin filmando i profughi, decine di giornalisti venivano arrestati in Russia durante il lavoro per raccontare la repressione. Almeno 13 a San Pietroburgo. A Ekaterinburg, quarta città del Paese, un uomo è stato bloccato e preso a calci dai poliziotti. Tutto filmato. Stesso copione per una giovane di Vladivostock. E così in centinaia di casi, senza poter chiamare un avvocato.
Mentre decine di migliaia di persone hanno liberamente detto il loro no alla guerra ieri, in una nuova imponente manifestazione a Berlino, a Kazàn, capitale della repubblica russa del Tatarstan, una donna ha urlato alla polizia: «Mia nipote è stata uccisa dai vostri l'altro ieri».
Arresto immediato. Il ministero dell'Interno ha fatto sapere che i fermati saranno denunciati per aver violato la legge. Sono quasi 15mila i russi fermati in 122 città dal 24 febbraio, data di inizio della guerra. E delle proteste.
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