Hanno chiesto il bonus come piccoli artigiani e professionisti messi in ginocchio dal virus. Ma i 600 euro puntualmente portati a casa si sommano allo stipendio a prova di pandemia di oltre 12mila euro netti. È scandalo a Montecitorio dopo la rivelazione di Repubblica e alla Camera sale, inarrestabile, l'indignazione: tutti vogliono sul piatto i nomi dei cinque deputati che hanno usato la legge per incrementare i loro redditi, già non proprio popolari.
Nicola Zingaretti e Matteo Salvini scagliano parole quasi uguali, a marcare una riprovazione trasversale agli schieramenti.
«Posso dirlo? È una vergogna», afferma il segretario del Pd. «Che un parlamentare - alza la voce il leader della Lega - chieda i 600 euro destinati alle partite Iva in difficoltà è una vergogna». Anche se l'ex ministro dell'Interno allunga anche una stoccata a Palazzo Chigi: «Che un decreto del governo lo permetta è una vergogna».
In effetti i cinque, per ora schermati dall'anonimato, non hanno violato la legge. È tutto regolare, ma è tutto imbarazzante e anche molto triste. In un momento drammatico del Paese, con milioni di lavoratori in una situazione difficilissima, ecco cinque rappresentanti del popolo che sfruttano il popolo per incassare quella che per loro è una mancia o poco più.
Forse, sarebbe stato bene piazzare un tetto, un limite, una barriera. Non lo si è fatto, ci si e affidati all'etica e al buonsenso, ma qualcuno ha sbagliato i conti pensando che il rispetto della legalità fosse uno scudo sufficiente davanti al tribunale dell'opinione pubblica. Errore funesto.
Questo episodio, comunque vada a finire, è un assist formidabile al partito populista nelle sue declinazioni più scettiche e iconoclaste. La classe politica si impicca da sola ai propri privilegi, alle proprie debolezze, alle sue misere furbizie. Dopo il ventaglio colorato delle tangentopoli e delle rimborsopoli, siamo ai furbastri del lockdown. Inattaccabili sul piano formale, indifendibili nella sostanza. Perché quel che è lecito non sempre è opportuno.
«Questi deputati - scrive il presidente della Camera Roberto Fico - chiedano scusa e restituiscano quanto percepito». Il vento soffia impetuoso e fa scricchiolare il Palazzo della Casta, asserragliata nei suoi sontuosi benefit. «È un'indecenza - commenta Luigi Di Maio - e questi cinque personaggi invece di rispondere al popolo che gli ha eletti hanno ben pensato di approfittarne. Ora questi signori si dimettano».
Le dita di una mano sono una goccia nel mare dei parlamentari, ma i ragionamenti troppo sofisticati e articolati non tengono quando la povertà avanza e si scopre che il bonus ha finanziato chi già se la passava bene.
Di questo passo, il referendum di settembre sul taglio di deputati e senatori può trasformarsi in un rigore a porta vuota. Meglio ridurre le poltrone, anche se i risparmi saranno modesti e c'è il rischio di svilire un parlamento già mortificato dalle troppa disinvoltura di molti suoi componenti.
«I cinque abbiano un sussulto di dignità - afferma Mara Carfagna di Forza Italia - restituiscano quanto ricevuto e vengano allo scoperto consentendo così agli italiani di giudicarli per quello che sono».
Ecco il referendum sarà anche l'occasione per vendicare i torti, veri o presunti, subiti dagli italiani che voteranno con la pancia, prima che con la testa, e per riempire tutte le caselle dell'ipocrisia nazionale. Storie come questa scaldano gli animi e fanno dimenticare, almeno per un giorno, le piaghe del Paese, le indecisioni e i balbettii del governo, il cronico ritardo delle riforme annunciate e mai realizzate.
Di più, gli archivi dell'Inps si aprono nel momento in cui circolano voci di rimpasto e il frullatore dei nomi serve per regolare i conti. Dunque, tutti sugli spalti dell'arena. Pollice verso: per i cinque la sentenza è già scritta.
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