Ucraina, Parsi: "Fornire tank non farà esportare il conflitto"

Il professor Vittorio Emanuele Parsi sulla guerra: "Putin non ha bisogno di un pretesto per allargarla"

Ucraina, Parsi: "Fornire tank non farà esportare il conflitto"

ll professor Vittorio Emanuele Parsi, politologo e professore della Cattolica del Sacro Cuore di Milano, fotografa il momento della guerra in Ucraina, sottolinea le previsioni errate di alcuni studiosi italiani e disegna la prospettive delle nuove relazioni internazionali tra potenze.

Professor Parsi, l'invio dei Tank agli ucraini cambia qualcosa rispetto alla guerra?

"Si tratta di una scelta che migliora la capacità di resistenza ucraina e fornisce un segnale di determinazione nel sostegno. Non dà nessun pretesto per esportare la guerra fuori dall'Ucraina da parte dei russi".

I rapporti tra Stati Uniti e Russia potranno essere modificati?

"Non mi pare che possano cambiare. Sono già avviati sul piano inclinato che hanno preso da diversi mesi. il fatto in sé dell'invio dei tank non cambia niente".

Può scoppiare un conflitto globale?

"Al momento non ci sono motivi per pensare che ci debba essere un allargamento del conflitto. Ma Putin non ha bisogno di pretesti per farlo".

Se torna il "secolo breve", tornano quegli schemi, dunque anche le "quinte colonne"?

"La situazione forse è più complicata. Negli anni passati, c'erano voci su questo o quel personaggio politico e su questo o quel finanziamento proveniente dalla Russia. Il che non ha riguardato solo l’Italia ma tutta l'Europa. Poi ci sono stati tentativi di orientare il voto da parte del Cremlino, come peraltro in alcune circostanze è riuscito, e penso alle elezioni presidenziali americane, a quelle in alcune nazioni europee o alla Brexit. Alle spalle c'è questo, che ha funzionato perché eravamo in una situazione in cui la politica appariva sullo sfondo rispetto alla prevalente dimensione economica del sistema-internazionale".

Ora la situazione cambia, dunque?

"L’economicismo facilitava certe pratiche: si era meno esposti all'accusa di essere e sentirsi “traditori della Patria”, dato che esisteva solo “il sistema-Paese” e non più la Patria. D'altro canto, la guerra scatenata da Putin riporta la politica al centro delle questioni internazionali. La politica nella sua dimensione più brutale, nella sua dimensione apparentemente perenne, in continuità con la storia europea fino alla metà del Novecento. Perché non c'è dubbio ci sia una discontinuità molto forte, a partire dalla metà del novecento, che ha tentato di costruire un sistema internazionale plurale ed interdipendente grazie al mercato, al commercio ed agli scambi. Il mercato, negli anni scorsi, emarginava la politica. Ora la politica è tornata al centro e questo non consente più le operazioni disinvolte che sono andate avanti sino a prima del governo Draghi. Adesso i partiti politici sono costretti a prendere atto che non si può essere amici al contempo dell'America e della Russia. E che la minaccia alla sovranità degli Stati dell'Unione non proviene certo da Bruxelles ma da confini esterni. Sono tutti fattori che costringono i partiti a prendere una posizione su questo".

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Giuseppe Conte sta alzando il tiro sull'aumento della spesa militare. I grillini vogliono mettere in crisi il sistema filo-atlantico?

"C'è una lotta interna per la leadership e Conte è disposto a molto pur di riaverla. Sta facendo tutto questo per mettere in difficoltà il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e gli oppositori interni. E penso che stia operando in questo modo anche per recuperare il cosiddetto "MoVimento 5 Stelle delle origini". Questo vuol dire tornare alla componente più populista. Conte è stato perlomeno uomo di tre stagioni: ha interpretato il suggello populista dell'alleanza giallo-verde, poi ha voluto rappresentare il governismo dell'alleanza col Pd. Ora che è stato estromesso dalla stanza dei bottoni cerca di muoversi tra “5Stelle di lotta e 5Stelle di governo”, con risultati deleteri. Agendo così, inevitabilmente, la parte istituzionalizzata patisce. Questo ce lo ha insegnato Alberoni: quando si torna allo "stato nascente" di un movimento la dimensione istituzionale va in sofferenza. Oggi i discorsi sugli accordi internazionali perdono di enfasi e tornano quelli di pancia. Ma la pancia cui ci si rivolge torna quella del primo grillismo, che ha posizioni mento antlantiche e meno filo-europee. Non vedo calcoli raffinati o strategie particolari, però".

Si parla dello "schema coreano" quale soluzione del conflitto ucraino. De Gasperi, ai tempi della guerra di Corea, parlò di "quinte colonne" in Italia. Ci dobbiamo aspettare in Italia la nascita di un partito anti-americano?

"Non abbiamo punti di riferimento ideali così forti come quelli della Guerra fredda. Non ci sono più ideali liberali, democratici, popolari, socialisti, comunisti ben stagliati o persino alternativi tra loro . Parlo dei grandi asset di valori. Questo non c'è. C'è tutta una parte dell'opinione pubblica, del ceto degli affari, del ceto politico e del ceto culturale, perché no, che fa fatica a ragionare di una collocazione italiana saldamente atlantica e saldamente europea, tanto più ora che quelle due dimensioni, a causa del nemico alle porte, sono coincidenti. Dunque c'è una seduzione. E poi c'è lo stato della società italiana, che ha un bassissimo grado d'istruzione ancora, anche al livello universitario, con un sistema informativo molto drogato. Un Paese alla ricerca di parole d'ordine molto rassicuranti che gli concedano il quieto vivere continuando a trafficare. Questa è la vera minaccia per noi: Francia o Spagna purché se magna". Una cosa diversa dal rispettabile e serio movimento pacifista, ma che sa sfruttarlo per i suoi tornaconti politici, affaristici, mediatici".

Concorda sul fatto che questa sia l'ultima chiamata per l'Unione europea?

"Questa è una chanche e potrebbe essere l'ultima. Per ora l'Ue ha agito bene, bisogna vedere la tenuta. Prima della guerra in Ucraina, la Germania era un modello da seguire: grande Paese esportatore, si diceva. Dopo la guerra in Ucraina, la Germania è il grande problema: Paese che dipende in maniera imbarazzante dalle importazioni energetiche della Russia. In questo senso, l'Ue ha acquisito consapevolezza che non basta essere area di libero scambio e grande esportatore per contare. Devi avere anche indipendenza energetica, militare e stratetica, oltre che capacità di fare scelte rapide. Questa è una grande sfida, certo".

La guerra che doveva essere "lampo", rischia di trasformarsi in un conflitto permanente. Merito della resistenza ucraina. Molti studiosi italiani hanno sbagliato previsione.

"Io, come altri, ho sempre scritto alcune cose, almeno dal 2014. Non possiamo essere in queste condizioni di vulnerabilità rispetto alla Russia. Le ripeto che sono anni che lo vado dicendo. Basta leggere Clausewitz. Tutti questi che parlavano di partita chiusa si erano dimenticati di Clausewitz. La guerra è scontro di volontà. Dunque, il più forte ha più strumenti per piegare la libertà del più debole. Ma il più debole ha comunque la sua volontà. Chiaro che per l'Italia sia difficile capire perché gli ucraini lottino così per la loro libertà. Ma gli ucraini sono stati sotto il tallone russo zarista e sovietico. E capiscono cosa c'è in Russia. Guardi che la propaganda russa, in Ucraina, non funziona bene come in Italia. Gli ucraini vedono cosa fa Putin ai russi eh. Da noi viene detto "eh ma tanto prima o poi". Prima o poi saremo anche tutti morti. Gli ucraini ci ricordano cos'è la vita: qualcosa per cui si rischia di morire. Non è una spazio che si attraversa come se fossimo già morti. In questo l'Ucraina dovrebbe insegnarci tanto".

La globallizzazione è finita?

"La globalizzazione era già in crisi. Se la riporteremo sotto controllo, che vuol dire essere consapevoli del rischio politico oltre del rischio economico, e quindi una globalizzazione tra Paesi simili e non con Paesi portatori di minaccia gli uni per gli altri, potrà essere ricalibrata. Dall'altra parte, però, servirebbe una globalizzazione che tenga conto della divergenza tra sistemi democratici e sistemi autocratici. Il che non significa essere sempre in guerra ma gestire le divergenze, nella consapevolezza del rischio. Poi bisogna ci sia una ripresa delle capacità inclusive-domestiche della democrazia rappresentativa. Altrimenti saremo sempre ostaggio del Conte di turno".

Cosa prevede sul futuro dei rapporti tra Stati Uniti e Cina?

"Era un rapporto già teso almeno dal 2008, per decisione cinese. I cinesi hanno preso atto dell'opportunità di uscire dal sistema d'ordine americano e iniziare a porre le basi di un'alternativa. Vogliono mettere loro stessi al centro.

Questa guerra costringe la Cina a dover scegliere tra il sostenere Putin, e rischiare così uno scontro frontale, non per forza militare, con Usa e Ue, o richiamare Putin all'ordine e proseguire in una strada di competizione ma non di contrapposizione militare, almeno per ora".

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