La partita di deficit e debito entra nel vivo

Senza un'intesa, le regole sospese con il Covid torneranno in vigore dal gennaio prossimo

La partita di deficit e debito entra nel vivo
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Come nell'immaginario degli antichi il Cerbero sorvegliava le porte dell'Ade, così il Patto di Stabilità controlla che i Paesi aderenti all'euro non facciano pasticci nei conti pubblici, pena finire sanzionati. Due i parametri cui il «mostro normativo» Ue non transige. Primo: nessuno Stato può avere un deficit, cioè la differenza tra entrate e uscite, che superi il 3% del Prodotto interno lordo. Secondo: il debito pubblico non deve eccedere il 60% sempre del Pil. Questo sulla carta perché, si sa, la politica è il regno delle mediazioni, così la vera ossessione comunitaria si è fissata con il tempo sul rapporto deficit-Pil. Il secondo paletto (quello del debito), peraltro inacciuffabile per quasi tutti, è stato invece ammorbidito con una sorta di dichiarazione di buona volontà: la promessa di risanare il buco di almeno un ventesimo ogni anno. Chi sgarra sul deficit, malgrado i primi avvertimenti, riceve pressanti «raccomandazioni» perché torni sulla retta via. A quel punto se lo Stato sotto esame si «redime», la procedura di infrazione viene sospesa, in caso contrario rischia una sanzione.

In realtà oggi la situazione è differente, perché nel marzo del 2020 i poteri europei hanno sospeso il Patto mentre anche i più severi falchi del rigore abbassavano il capo davanti alla tragedia del Covid e a una economia esanime. La «pacchia», la libertà di contrarre debiti senza timore, sta però per finire. A gennaio del prossimo anno, se gli Stati non firmeranno un nuovo Patto di Stabilità e Crescita (per cui esistono alcune proposte), tornerà infatti in vigore il vecchio accordo. Un incubo per la gran parte dei governi europei che si sono messi al tavolo per cambiarne le regole in base al contesto «deglobalizzato» creato dal conflitto russo-ucraino e a una inflazione ancora galoppante. Ma se diffuso è il consenso sul fatto che il vecchio Patto sia anacronistico, più complesso è calcolare il punto di caduta dei negoziati. La Ue resta infatti divisa tra i Paesi «rigoristi» e quelli «spendaccioni». I primi tipicamente ubicati nel centro-nord del continente e ricchi di materie prime, a partire dai cosiddetti «frugali» (Olanda, Austria, Svezia, Danimarca e Finlandia). I secondi molto indebitati, spesso affacciati sul Mediterraneo e identificati con il poco lusinghiero acronimo di «Pigs» (maiali). Le trattative puntano a un rientro del debito pubblico «secondo regole realistiche, sostenibili e serie», ha lasciato filtrare ieri il Tesoro. Vedremo.

Nella sua ultima fatica Eracle riesce a domare il terribile mostro tricefalo.

Speriamo che la Commissione europea abbia una lungimiranza pari alla forza del figlio di Zeus. Perché, senza nulla togliere all'importanza della parsimonia, una cieca austerity non può che condurre tutti alla recessione.

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