Almeno Dario Franceschini, dubbi non ne ha o, almeno, non mostra di averli quando disserta con il suo «inner circle»: «Le possibilità di un cambio di governo ora sono pressoché zero. Sarebbe un suicidio. Alla fine i grillini accetteranno questa nuova versione del Mes». Così parlò Zarathustra. E in fondo l'uomo forte del Pd nel governo deve avere qualche ragione che motivi la sua sicumera, se il più riottoso degli alleati di Giuseppe Conte, pur usando un lessico diverso, arriva alle stesse conclusioni. Profetizza Matteo Renzi: «Non succederà nulla. Dato che i grillini non possono cambiare il Mes, capovolgeranno, al solito, la narrazione sul Mes. Il Pd, in questa occasione, ha capito che doveva stare con noi e non con loro».
Queste sono le previsioni, ma c'è un però Anzi, c'è una lunga serie di «però» che dimostrano nel contempo come la convinzione - o la speranza - che non succeda nulla abbia una data di scadenza più o meno vicina. Perché si può dire di tutto, ma un fatto è certo: il governo Conte sull'emergenza economica sta ripetendo i ritardi e le contraddizioni che hanno caratterizzato quella sanitaria. Contraddizioni latenti. Ad esempio, sul Mes il «no» a priori del Premier, pronunciato in quella sorta di discorso alla nazione della settimana scorsa - e reiterato ieri da grillini di primo piano come Crimi, Di Maio o Paola Taverna - da un parte, almeno sulla carta, gli ha tagliato i ponti per una possibile ritirata. Dall'altra, condito da quell'attacco frontale a Salvini e alla Meloni, ha fatto emergere un paradosso: il Premier ha polemizzato con leghisti e sovranisti sposandone, però, le tesi anti-Mes; per essere coerente semmai avrebbe dovuto sparare su Zingaretti, Renzi e, magari, sul versante dell'opposizione, contro Berlusconi, che sul tema sono favorevoli all'intesa con Bruxelles. Un'acrobazia dal punto di vista logico che non per nulla ieri il premier ha corretto con un appello alla maggioranza: «Evitiamo ora dibattiti astrusi... giudicheremo alla fine le condizioni del Mes e al Parlamento spetterà l'ultima parola». Com'è nel suo stile, Conte si è rifugiato nel «rinvio». Siamo alla solita baraonda concettuale che dimostra come il Premier, per tenere insieme capre e cavoli nella sua maggioranza, sia costretto a fare un uso disinvolto del tatticismo più esasperato. E le «capre», in questo caso, sono le anime dei 5 Stelle che si dimostrano «aliene» alle esigenze della governabilità, mentre «i cavoli» sono i guai del Paese, davvero tanti, che hanno bisogno di soluzioni incompatibili con l'approccio ideologico del movimento.
Così si torna ai vizi che hanno portato alla fine dell'alleanza gialloverde e che ora minano quella giallorossa. Vizi che in passato hanno impedito scelte coraggiose e hanno determinato lungaggini nelle decisioni. Solo che se in periodi «normali» questi rituali erano il segno di una fase stravagante della politica italiana, nell'«emergenza», invece, rischiano di essere fatali. «C'è un'anima grillina - ammette lo stesso Renzi - che fa a botte con le logiche di governo. Basta pensare a chi c'è al ministero della Giustizia o a quello dell'Istruzione».
E l'ex premier è fin troppo ottimista, perché c'è anche di peggio. Ad esempio, il senatore grillino Elio Lannutti nella sua polemica con la Germania, in un momento in cui ci sarebbe bisogno della solidarietà di ogni Paese Ue, non ha trovato di meglio che rispolverare la memoria di Adolf Hitler. Ora si potrebbe anche far finta di niente dato che in ogni partito ha le sue «teste calde» (Lannutti è stato redarguito dal vertice del movimento); nel caso di questo governo, però, che sta in piedi grazie a tre voti di maggioranza al Senato, le «teste calde» sono addirittura indispensabili. Ergo, l'esecutivo che dovrebbe affrontare la peggiore crisi economica dal 1945 a oggi, è appeso agli umori di Lannutti e compagni: come andare in guerra con un battaglione di guerci armati con i fucili che sparano all'incontrario.
Una prospettiva agghiacciante, che cominciano a percepire anche al Quirinale. Solo che in questo benedetto Paese i problemi arrivano sempre in coppia. Spiega l'azzurro Renato Brunetta, teorico della svolta filo-Mes di Berlusconi: «Se l'Ue mette in campo Bce, Sure, Bei, Mes e gli interventi della Commissione con il Bilancio Ue, come fa Conte a tirarsi fuori, a dire facciamo da soli? Finiremmo in pasto ai mercati. Il problema è, come sempre, la cultura grillina che fa a botte con quella di governo. Anche se poi ci sono dei masochismi pure sul versante dell'opposizione. È il motivo per cui non cambia il quadro politico, perché nei fatti lo schieramento del buonsenso che va dal Pd, a Renzi, a Berlusconi in Parlamento è minoritario rispetto ai populismi di grillini, leghisti e Fratelli d'Italia».
Un ragionamento da cui emerge un paradosso non inedito: Conte sta in piedi anche per l'atteggiamento di Salvini e della Meloni. Una constatazione «amara» che è presente nei ragionamenti di leghisti come Giancarlo Giorgetti. Insomma, la confusione regna sovrana. Conseguenza: la strategia per far fronte all'emergenza economica, finisce per essere ancora più «confusa» di quella adottata nell'emergenza sanitaria. Come, ad esempio, sulla «Fase Due»: si può decidere di ripartire domani, fra 15 giorni o fra un mese, tutto è lecito; ciò che è assurdo è che mentre a Berlino, a Madrid, a Parigi hanno già un «piano» per la riapertura, quello di Roma è tutto da scrivere.
Questa condizione di inadeguatezza, prima o poi, logorerà l'attuale quadro politico. «Il problema per Conte non sarà l'Europa ha spiegato Renzi ai suoi -, i grillini troveranno un modo per dire sì, ma semmai i limiti che dimostrerà nella gestione dell'economia reale del Paese. Quando l'opinione pubblica se ne accorgerà, si porrà la questione del governo. Tra un mese o poco più». Qualche segnale c'è già: nei sondaggi della maga Ghisleri, il gradimento di Conte sta scendendo, ora è al 47%. Vuol dire poco, visto che gli altri leader politici sono al di sotto. Tanto, invece, se si tiene conto che il gradimento di uno che l'emergenza l'ha affrontata bene, come Luca Zaia, in Veneto è all'84%.
«Non so osserva Giorgio Mulè, uno degli uomini ombra del Cav se la vicenda sul Mes innescherà la fine di Conte, quello che so è che il governo cadrà a giugno o a settembre, prima della prossima legge di bilancio. Anche se l'interessato non ne è al corrente, Conte è già morto».
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