Il "partito del Pil" ha bocciato il polo di Calenda. E chiede continuità nelle scelte economiche

La corsa di Moratti ignorata soprattutto da imprenditori e mondo produttivo

Il "partito del Pil" ha bocciato il polo di Calenda. E chiede continuità nelle scelte economiche

Milano. Il «partito del Pil» ha bocciato il Terzo polo. Il dato è evidente, e brucia particolarmente nella sconfitta di Carlo Calenda.

Le elezioni politiche di settembre, è vero, non erano state esaltanti per il leader di «Azione», ma avevano comunque assegnato ai terzopolisti un 10% che a Milano diventava 15% e che faceva ben sperare. Il bottino delle regionali invece, è risultato magrissimo: il 4,2 su base regionale, e il 6,6 a Milano (ancor meno in altre province densamente industrializzate come Brescia o Bergamo, dove si è fermato al 3,9 e al 3,5).

Un verdetto che ha il sapore di un ko definitivo per le prospettive di quel polo centrista e liberaldemocratico che Calenda intende(va) costruire. Quel progetto, condiviso (più o meno) da Matteo Renzi, e improvvisamente anche da Letizia Moratti, doveva avere in Lombardia il suo fulcro, per varie ragioni. Milano intanto, come nessun' altra città italiana è la culla di un elettorato liberale e riformista che fin dalla Prima repubblica regala alle forze laiche percentuali superiori alla media. La Lombardia, inoltre, è la regione di un ceto imprenditoriale solido e organizzato, di cui la ex sindaco Moratti in passato è stata senz'altro espressione.

Su questo mondo produttivo Calenda e Renzi hanno molto puntato, e non solo nel corso di questa campagna elettorale, in cui peraltro si sono visti spesso. Da ministro dello Sviluppo economico, Calenda nel settembre 2016 era sbarcato a Milano per presentare la sua «Industria 4.0», un pacchetto di misure stimolo per la competitività e produttività. Al suo fianco c'era l'allora premier, Matteo Renzi ovviamente, e il piano fu apprezzato dalle categorie economiche.

Quelle stesse categorie, oggi, hanno voltato le spalle al Terzo polo di Renzi e Calenda, puntando chiaramente sul centrodestra e sulla continuità incarnata da Attilio Fontana. Dei segnali in questa direzione si erano visti chiaramente già nella fase di uscita dall'emergenza Covid, in particolare da quando a Palazzo Lombardia, a gestire lo Sviluppo economico è arrivato Guido Guidesi. Lodigiano, già sottosegretario nel governo Conte, il leghista è tornato in Lombardia col rimpasto del gennaio 2021, e ha lavorato sulla ripartenza mettendo in campo strumenti per tutelare le filiere e riavviare gli investimenti, inoltre ha segnalato per primo l'incombente esplosione dei prezzi di materie prime ed energia, denunciando la minaccia rappresentata, per l'automotive, dall'ideologia green oggi prevalente in Europa. Un lavoro che ha permesso di tessere una rete di relazioni e fiducia, in linea con l'attività di Giancarlo Giorgetti ministro nel governo Draghi.

Già a fine novembre, quando Fontana ha riunito i suoi «stati generali» per Lombardia 2030, all'hangar Bicocca si è visto un parterre di eccezionale spessore. È stato il segnale che «il partito del Pil» non voleva scossoni ma continuità. Ai primi di febbraio Confindustria ha incontrato i candidati alle Regionali.

«L'auspicio - ha spiegato i presidente Francesco Buzzella - è che il prossimo governo regionale prosegua nell'ascolto dei bisogni delle imprese...». Parole chiare, per quanto discrete, come discreta pare che sia oggi, la «moral suasion» delle categorie per far sì che questa continuità, garantita dalla conferma di Fontana, passi anche dalla conferma di Guidesi.

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