"Paziente uno" respira da solo, rischio Wuhan in Lombardia

L'infettivologo Galli: "La stessa evoluzione della Cina". Ieri 1.797 contagiati e 97 decessi in più. Isolati in 2.936

"Paziente uno" respira da solo, rischio Wuhan in Lombardia

Mattia respira da solo. È questa la buona notizia alla quale guardare in una giornata nerissima, l'ennesima dall'inizio dell'epidemia di coronavirus. Il 38 enne di Codogno, il cosiddetto paziente uno, «è stato trasferito dalla terapia intensiva a quella sub intensiva. È stato cioè stubato in quanto ha iniziato a respirare autonomamente». Lo ha confermato l'assessore lombardo al Welfare, Giulio Gallera.

Ma i contagi aumentano in modo esponenziale e purtroppo secondo Massimo Galli, direttore del reparto malattie infettive del Sacco di Milano, dobbiamo aspettarci una situazione simile a quella di Wuhan: «Siamo solo all'inizio».

I numeri registrati ieri confermano un trend in salita, un focolaio concentrato in Lombardia ma che oramai dilaga in tutte le altre regioni.

Sono 9.172 i contagiati in totale ovvero 1.797 in più rispetto a ieri. In questa cifra però ci sono anche i 724 guariti che per la prima volta superano i deceduti saliti a 463. Dunque le persone attualmente positive sono 7.985. I ricoverati con sintomi sono 4.316; quelli in terapia intensiva sono saliti a 733 e i positivi in isolamento domiciliare sono 2.936. Galli che guarda all'unico modello di riferimento a disposizione ovvero la Cina, spiega che in Lombardia la situazione «giovedì scorso era identica dal punto di vista numerico a quella di Wuhan il 25-26 di gennaio» e come Wuhan anche qui «abbiamo avuto un periodo di circolazione dell'infezione sotto traccia piuttosto lungo, 3-4 settimane soprattutto nell'area del lodigiano». E dunque possiamo aspettarci dati in salita ancor per settimane. Anche se a Wuhan la concentrazione della popolazione è molto più alta: «11 milioni di persone in un'area molto ristretta, rispetto alla Lombardia che ha 10 milioni di persone molto più disperse». Galli poi boccia senza appello la scelta di riaprire la prima zona rossa del lodigiano: «Riaprire adesso vuol dire creare ulteriore confusione». E a chiedere con forza che si allarghi la zona rossa sono anche i medici del Piemonte dove per ora i casi sono solo 744. Ma se non si prendono misure drastiche e i cittadini non rispettano i divieti, avvertono i medici, si rischia che si infetti il 70/80 per cento della popolazione e a quel punto la cifra dei morti salirebbe in modo drammatico. Tocca invece a Gianni Rezza,direttore del dipartimento malattie infettive dell'Istituto Superiore di Sanità, focalizzare l'attenzione sulla capitale. «Forse a Roma non capiamo che il virus sta già cominciando a circolare, anche se le catene di trasmissione sono ancora piccole: ne dobbiamo prendere atto, altrimenti arriva il patatrac come a Lodi», ammonisce l'esperto che una volta in più chiarisce che non ci troviamo di fronte a «un'influenzetta» e chi lo ha detto «anche tra i colleghi ha sbagliato e dovrebbe riconoscerlo». Per evitare di finire come Wuhan sarà «decisivo il prossimo mese, forse i prossimi due», dice Rezza che evidenzia come il contenimento stia funzionando nella ex zona rossa dove si registra «un leggero trend positivo» e questo significa che «le misure stanno iniziando a dare qualche effetto». Ma visto che i giovani sembrano ignorare gli appelli a restare a casa perché si ritengono immuni ooccorre varare misure di deterreza e anche ricordare che «un positivo su cinque ha tra 19 e 50 anni» ed è quindi un vettore di infezione.

Dall'analisi, su 8.

342 casi positivi al 9 marzo alle ore 10, emerge che l'1,4 per cento ha meno di 19 anni, il 22 è nella fascia 19-50, il 37,4 tra 51 e 70 e il 39,2 ha più di 70 anni, per un'età mediana di 65 anni.

Sono saliti a 583 gli operatori sanitari contagiati.

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