I l Pd «deluso e preoccupato» dopo il vertice di Villa Grande, sta alla finestra, in attesa di capire cosa farà Silvio Berlusconi ora che ha impacchettato il centrodestra.
Stamattina si terrà la riunione della Direzione e dei gruppi parlamentari, ma sarà poco più che melina: il segretario chiederà il mandato a condurre le trattative insieme alle due capogruppo, e il dibattito si prevede breve e senza scosse. Tanto che, per «addormentarlo» ulteriormente, il segretario ha deciso che si farà in streaming. No alla candidatura Berlusconi, ovviamente: «Irricevibile». Conte tuona: «Un'opzione improponibile, il centrodestra non blocchi il paese». Ma Enrico Letta ridimensiona: «Mi sembra più uno spot pubblicitario che un vero film: non prendiamo troppo sul serio la minaccia», dice ai suoi. E intanto tende la mano: «Cerchiamo tutti insieme di andare oltre le bandiere per far sì che nessuno risulti perdente o vincente». Perché ora, ragionano al Nazareno, il Cavaliere ha il pallino in mano: può giocarsela in proprio, con tutti i rischi del caso, oppure scartare abilmente e imporre un candidato. «Ha il gioco in mano, e se lancia Draghi o Amato, noi possiamo solo accodarci», dicono i dem.
Enrico Letta in queste ore ha avuto incontri e contatti con quasi tutti: Salvini, Meloni, Conte, Di Maio, Letta zio etc. Tutti, a parte Renzi, incrociato in chiesa ai funerali di David Sassoli. Con Renzi però si sentirà, dicono i suoi, «appena si entrerà nel vivo». Un segnale che i due, alla fine, potrebbero marciare di conserva se da Silvio Berlusconi partisse l'operazione Draghi. Del resto, per Letta, marciare di conserva con i presunti alleati grillini è ormai difficile. «Se alla testa di M5s ci fosse stato Di Maio - dice un alto dirigente dem - avremmo potuto fare un accordo e avere peso nella trattativa. Ma c'è Conte, totalmente condizionato dal 'partito cinese': Grillo, D'Alema, Bettini». Che lavorano, spiega ancora, per la candidatura di Giuliano Amato: «Tutte le uscite di D'Alema e Bettini e Orlando vanno lette in questa chiave». Amato, però sarebbe assai difficile da far digerire a Lega, FdI e grillini. E Renzi, che ieri ha riunito i suoi 45 Grandi elettori, bastona da par suo il «partito cinese» («D'Alema è uno di quelli che non le azzecca mai sulla presidenza della Repubblica: non porta bene ai suoi candidati»), esclude il Mattarella bis e afferma: «siamo pronti» a votare un nome proposto dal centrodestra, purché «diverso da quello di Berlusconi. Un nome da fare entro la settimana prossima». Serve «un presidente con grandi obiettivi: aiutare il governo a gestire la pandemia, spendere i soldi europei, confermare l'alleanza atlantica». Sembra l'identikit di Draghi. E per una volta è un identikit condiviso dal Pd di Letta, dove è in corso un lavorio sotterraneo su un asse inedito: il segretario, il ministro della Difesa Guerini e l'ex leader Zingaretti. Con l'obiettivo di costruire una candidatura unitaria di Draghi e, soprattutto, il futuro governo («Un governo Ursula senza Lega o un governo dei leader», dice Renzi, che dovrà sostituire l'attuale se il premier verrà eletto al Colle, escluso il voto anticipato che nessuno - neppure FdI -vuole o può permettersi. Già, perché nei partiti della maggioranza sono in molti ad aver avuto un'illuminazione: se Draghi va al Quirinale, si libereranno tutti i posti chiave occupati da tecnici draghiani: Franco, Giovannini, Colao, Cingolani, e poi gli Interni di Lamorgese. Nello schema Pd, il premier potrebbe toccare a loro (Fransceschini o proprio Guerini, il più accreditato, per le solide relazioni internazionali), e alla Lega verrebbe offerto in cambio il Mef per Giorgetti. Salvini non pare d'accordo: vuole il Viminale per sè («Giammai», dice il Pd) e mandare Giorgetti in panchina.
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