Caccia aperta alle coperture per le pensioni. Il governo non vuole scontentare i sindacati, cerca di strappare alla Cgil un sì molto improbabile all'Ape, l'anticipo pensionistico, e prende tempo per cercare le risorse. Oggi era in programma l'incontro clou tra esecutivo e le i segretari generali delle tre principali confederazioni per approvare definitivamente il pacchetto. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ieri ha annunciato che slitterà al 27 settembre. «Abbiamo concordato con le organizzazioni sindacali - ha detto Poletti - una ricalendarizzazione dell'incontro di domani alla settimana prossima, probabilmente martedì 27, per fare un approfondimento ulteriore delle specifiche».
Il rinvio serve in sostanza per capire se ci sono spazi per accontentare i sindacati. Cgil, Cisl e Uil stanno facendo pressione su due fronti. Sull'Ape sociale (quella gratuita riservata ad alcune categorie come i disoccupati) vorrebbero spostare il limite della oltre il quale si comincia a pagare l'anticipo, sopra gli attuali 1.500 euro lordi. L'obiettivo è arrivare a 1.200 euro netti, quindi più o meno 1.650 lordi. Poi c'è la questione dei lavoratori precoci. Il governo prevede che per chi ha iniziato a lavorare presto, l'anticipo possa scattare con 42 anni e 10 mesi di contributi versati. I sindacati chiedono 41 anni e mezzo.
Possibile che il punto di caduta sia alla fine 42 anni tondi. Nei giorni scorsi lo stesso Poletti aveva fatto capire che le risorse sono poche. Ma la Cgil ha condizionato il suo sì proprio alla questione dei precoci. Il fatto che il governo stia ancora lavorando, è il segno che si cerca un compromesso. Risorse permettendo. Una scelta tutta politica, anche perché in Parlamento sulla riforma delle pensioni sono tanti gli eletti della maggioranza disposti ad appoggiare le richieste dei sindacati. «Sono fiducioso e credo che un accordo sia utile per i lavoratori e anche per il Paese», commenta il segretario confederale della Uil Domenico Proietti per il quale una intesa serve anche a «mettere al sicuro il provvedimento da sorprese durante l'iter in Parlamento».
Strada in salita anche per il rinnovi dei contratti degli statali. Passaggio obbligato per il governo. Da una parte c'è la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco degli aumenti e uno stanziamento previsto dalla precedente legge di Stabilità da 300 milioni. Dall'altro i sindacati che premono per avere più risorse da distribuire a tutti. Il nodo in questo caso è che con il rinnovo dei contratti ritorna in vigore la legge Brunetta, che prevedeva di concentrare gli aumenti a premi basati sul merito. La misura è fissa: il 50 per cento delle risorse devono andare al 25% degli statali. Una soluzione che non può andare bene ai sindacati. Il governo vuole giocare la carta del primo contratto dopo il blocco del 2011 anche in chiave elettorale. Con le poche risorse a disposizione e con il vincolo del merito, rischia di trasformarsi in un boomerang.
Servono buone notizie da mettere dentro una legge di Bilancio che si annuncia come minimo difficile. Per questo è ormai certo che nel provvedimento troverà spazio la riduzione delle aliquote Irpef. Ma solo a valere dal 2018. La proposta di introdurre il taglio del cuneo fiscale per il 2018 già quest'anno «è una buona idea del vice ministro Morando e dà la sensazione di pluriennalità e dà un senso di stabilità che è positivo», ha confermato ieri il sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta.
L'ipotesi
più accreditata è che si tagli di un punto l'aliquota del 38% per i redditi tra 28 e 55mila euro lordi. Costo, cinque miliardi di euro all'anno. Troppo per i conti del 2017. Probabilmente, troppo anche per quelli del 2018.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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